Corriere 9.7.16
«Non chiamatela guerra razziale»
Dice lo scrittore Percival Everett: «Tragedia, non una guerra razziale»
intervista di Viviana Mazza.
Da
una parte le uccisioni di giovani afroamericani in Minnesota e in
Louisiana: «È troppo, continua ad accadere. Ho due figli maschi e non so
cosa dire loro: non voglio che si muovano nel mondo con paura, ma
devono muoversi con grande cautela». Dall’altra la strage di poliziotti a
Dallas, «cinque uomini che hanno perso la vita», una cosa
«inaccettabile quanto il linciaggio dei neri» ma legata al problema
della «facilità dell’accesso alle armi e alla vergognosa incapacità del
Congresso di legiferare per cambiare le cose».
Lo scrittore
Percival Everett, intellettuale afroamericano, docente di scrittura
creativa alla University of Southern California analizza così la
violenza di questi giorni in America, ma non ha fiducia nella volontà
dei media americani di spiegare ciò che sta accadendo.
Quale messaggio arriva dai media?
«I
nostri media sono sensazionalistici, vogliono vendere le notizie, e la
mia paura è che vendano questa come una guerra razziale in modo
irresponsabile, anziché spiegare che le azioni di Dallas sono opera di
un individuo o di un paio di individui. E lo scenario più estremo e
terrificante è che servono solo pochi pazzi che credano che questa sia
una guerra razziale per farla diventare in qualche modo tale,
specialmente in un ambiente saturo d’odio e di discorsi di Donald
Trump».
Il killer ha detto di aver agito in risposta alle uccisioni di giovani neri. Può diventare un modello per altri?
«Posso
credere che questo individuo sia arrabbiato, ma non ci rappresenta.
Anche io sono arrabbiato, quante volte puoi sentire la notizia che
qualcuno come te è stato ammazzato dalle persone che dovrebbero
proteggerci tutti? Ma il problema rivelato da Dallas è la facilità con
cui le persone hanno accesso alle armi. È imbarazzante che nel XXI
secolo il nostro Paese non riesca ad affrontarlo. Mentre la questione
dei giovani neri uccisi dalla polizia è il risultato di un sistema che
consente a persone bigotte che hanno paura dei neri di diventare
poliziotti».
Quali sono le conseguenze immediate per il movimento Black Lives Matter?
«Dallas
rischia anche di allontanare l’attenzione dal problema dell’uccisione
di giovani per mano della polizia in tutto il Paese. È un atto isolato
di qualcuno che era fuori controllo, non una cosa sistematica. In totale
505 giovani, la stragrande maggioranza afroamericani, sono stati
assassinati dalla polizia quest’anno. Mentre non chiamerei gli attacchi
di Dallas e di New York (nel 2014) rappresentativi di una tendenza
sistematica alla violenza contro la polizia».
C’è il rischio che si delegittimi la protesta pacifica degli afroamericani?
«La
protesta pacifica è una delle cose buone del nostro Paese, senza questo
diritto siamo schiavi della società. Ora tutti saranno tesi e
spaventati. Si ha paura degli agenti in ogni caso, ma sapendoli nervosi,
sarà ancora più pericoloso».
Cosa pensa del discorso del capo della polizia di Dallas, David Brown, afroamericano?
«Ha
perso cinque colleghi con cui lavorava da anni. È doppiamente triste
perché, da quello che sento, il suo dipartimento di polizia era
progressista e cercava di evitare i problemi presenti in altri
dipartimenti. Il killer ha rubato delle vite e ha creato un’atmosfera in
cui altre ancora potrebbero essere rubate».
Viviana Mazza