Il Sole 9.7.16
Riesplode il conflitto razziale
Il pericolo del ritorno di un conflitto ideologica
di Mario Platero
Non
ho mai visto l’America accasciata su stessa come in questi ultimi due
giorni. Il conflitto razziale ha raggiunto apici inimmaginabili, si
piangono vittime fra i neri e fra i bianchi senza poter intravedere una
soluzione possibile se non quella della rassegnazione.
Gli
assassinii di innocenti neri continueranno e le vendette sui bianchi
potrebbero aumentare. Anche perché ora siamo davanti al pericolo di una
nuova guerra interna, di una resurrezione di movimenti di ribellione che
non manifestano pacificamente, ma con le armi.
La svolta di
Dallas, la vendetta armata, ci porta al pericolo del ritorno di un
conflitto ideologico. Da una parte chi si identifica con le Pantere
Nere, attivisti che negli anni 60-70 proponevano reazioni violente
all’insolubile problema razziale. Dall’altra chi si identifica con il
movimento pacifista ispirato da Martin Luther King. I fatti di Dallas,
di Baton Rouge e di Falcon Hights ci riportano a quel conflitto
ideologico: un attivista violento che vuole uccidere bianchi a Dallas
per vendetta, in mezzo a una dimostrazione assolutamente pacifica per
cercare il dialogo in alternativa alla violenza.
Che si sia
arrivati è anche un segno dei tempi. Il passaggio da un estremo
all’altro di queste ultime ore è stato rapidissimo, anche per l’America.
La velocità della comunicazione e delle evoluzioni di una notizia o di
una tendenza non consentono di riflettere. Producono reazioni impulsive,
spesso in contraddizione. Così abbiamo visto in poche ore un passaggio
dal ribrezzo della Nazione per il poliziotto che ha ucciso a sangue
freddo a Falcon Hights Philande Castille, guidatore afroamericano
innocente, alll’orrore della stessa Nazione per l’omicidio plurimo a
Dallas, dove i 5 poliziotti bianchi, a loro volta innocenti, sono stati
uccisi da un cecchino afroamericano.
Siamo perciò a un bivio,
siamo davanti all’incubo di un doppio fronte: quello aperto e
terrificante, di un’influenza esterna e religiosa rappresentato
dalll’Isis, e quello interno che potrebbe peggiorare. Di nuovo, gli
eventi di Dallas ci hanno dato una fotografia chiara di quello che
potrebbe succedere: i poliziotti sapevano che la dimostrazione sarebbe
stata pacifica. Non avevano allerte per possibili attacchi terroristici e
dunque in una calda serata di estate sono andati al lavoro in
maglietta, senza giubbotti antiproiettile o altri equipaggiamenti di
protezione. Quando c’è poi stato l’attacco, si è subito pensato al
terrorismo di matrice islamica. E le forze dell’ordine hanno cominciato a
proteggere la folla e a correre verso l’origine apparente del fuoco per
affrontarlo. Gli agenti bianchi in questo caso proteggevano i
dimostranti neri. E cinque di loro si sono immolati facendo il loro
dovere. Solo dopo lunghissimi minuti hanno capito che l’obiettivo erano
loro, i poliziotti bianchi. Ma alla fine di questa due giorni da incubo,
il Paese riflette, e capisce che il sangue sparso per le strade di
Dallas, per quelle di Baton Rouge o nell’auto fermata a Falcon Hights in
Minnesota è solo sangue americano.
Ed è proprio di questo che ha
voluto parlare ieri Barack Obama: del sangue americano, delle ferite
aperte. Curiamole, perché far finta di nulla non aiuterà nessuno.
Michael Eric Dyson, un professore afroamericano di sociologia a
Georgetown ci ha dato ieri lo spaccato della paura quotidiana che
pervade la vita degli afroamericani: «Se un bianco è perquisito sa di
non rischiare la vita. Se la perquisizione riguarda un nero, sa che
rischia la morte».
È questa la prima divisione su cui lavorare.
Sfida difficile perché invece di migliorare, le cose sono peggiorate con
un presidente afroamericano alla Casa Bianca. Obama doveva essere il
simbolo stesso dell’emancipazione dei neri negli Stati Uniti d’America.
Ieri dagli scritti di Michael Eric Dyson abbiamo capito che i neri
intellettuali sono delusi e preoccupati, appunto rassegnati. Ma la
speranza deve restare viva. E contro le forze della divisione, della
vendetta, della violenza, in ambo le direzioni schieriamo lo spirito di
Dallas, che ha visto dimostranti neri e poliziotti fronteggiare un
nemico comune. Uno specchio di paura e sgomento, ma anche un simbolo del
dialogo possibile.