Repubblica 9.7.16
“Processate i dirigenti per l’ondata di suicidi a France Télécom”
Per i tagli 60 dipendenti del gruppo si sono tolti la vita
Ora chiesto il rinvio a giudizio degli ex top manager
Secondo
l’accusa il piano era destabilizzare i lavoratori per poi costringerli a
dimettersi I sindacati: la definizione di mobbing è riduttiva, si è
trattato di omicidio involontario
I top manager di France Télécom ricevevano premi e benefit a fine anno se riuscivano a mandare via un alto numero di impiegati
di Anais Ginori
PARIGI.
Dopo sette anni di indagini, la Procura di Parigi ha chiesto il rinvio a
giudizio per i manager di France Télécom che erano alla guida del
gruppo durante la tragica ondata di suicidi tra i lavoratori. I
dirigenti della società, diventata nel 2013 Orange, sono accusati di
mobbing e potrebbero essere dunque processati. Sarebbe una prima
assoluta e un precedente utilizzato in altre situazioni, anche se il
caso di France Télécom è stato il più drammatico e noto.
Durante
la fase di ristrutturazione aperta nel 2006 l’amministratore delegato
Didier Lombard aveva annunciato il taglio di 22mila dipendenti e il
trasferimento di altri 14mila. Nei tre anni successivi, sessanta
impiegati del gruppo si sono suicidati, di cui trentacinque tra il 2008 e
il 2009. Il sindacato interno aveva sporto denuncia contro il
management, citando «metodi di gestione di una straordinaria brutalità».
Gli
accusati per cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio sono in
totale sette: l’ex amministratore delegato Lombard, l’ex numero due
Pierre Wenes e l’ex capo delle risorse umane Olivier Barberot, oltre a
quattro dirigenti di livello inferiore accusati di complicità. Il loro
destino è ora in mano al giudice d’istruzione, che deciderà entro
qualche settimana se accogliere la richiesta e dare il via al processo.
In caso di condanna, rischiano fino a 2 anni di reclusione e 30 mila
euro di ammenda.
Secondo la tesi dell’accusa, che ha ascoltato
decine di testimoni e esaminato molte comunicazioni interne, l’eccessivo
stress al lavoro, la sensazione di non riuscire a svolgere i propri
compiti e la perdita di fiducia in se stessi sono stati provocati da una
politica aziendale deliberata. A causa della crisi, France Télécom,
controllata dallo Stato, aveva infatti bisogno di fare dei tagli al
personale, ma voleva evitare di ricorrere ai licenziamenti secchi, più
complicati dal punto di vista amministrativo ma soprattutto malvisti
dall’opinione pubblica.
Per raggiungere gli obiettivi di riduzione
del personale, sostiene la procura, i vertici della società avevano
deciso di avviare una strategia di sistematica destabilizzazione dei
dipendenti, in modo da farli sentire a disagio sul posto di lavoro e
spingerne il più possibile ad accettare una partenza volontaria. I
manager che riuscivano a mandar via impiegati erano ricompensati a fine
anno con lauti premi. Tra i mezzi di pressione utilizzati la procura ha
citato diversi esempi che compaiono nel rinvio a giudizio: madri di
famiglia trasferite in sedi a due ore da casa, impiegati rimasti senza
la scrivania a causa di lavori negli uffici, demansionamento di alcuni
quadri.
La ristrutturazione è stata condotta senza indugi,
continuando per anni, nonostante i primi suicidi avvenuti tra il
personale. «Era una macchina di distruzione di massa» commenta Jean-Paul
Teissonnière, avvocato dei sindacati, solo parzialmente soddisfatti.
L’accusa di mobbing è “riduttiva”, commenta in una nota la
confederazione sindacale Cfe-Cgc, secondo cui sarebbe più appropriato
«un capo d’accusa multiplo per omicidio involontario, messa in pericolo
della vita altrui e mobbing».
La Cgt auspica invece che il
processo sia «l’occasione per riconoscere le vittime del mobbing
generalizzato nel gruppo ma anche per condannare dei metodi di
management autoritari e inumani». Se il processo ci sarà, potrebbero
costituirsi parte civile molti altri lavoratori del gruppo che all’epoca
aveva 110 mila dipendenti.