Repubblica 9.7.16
È la condizione nella quale attraverserà la lunga estate
Il pericolo della palude sul mare piatto del governo
Il
premier sa che l’unico colpo d’ala potrà essere la vittoria nel
referendum La missione vera è ricostruire il rapporto con l’opinione
pubblica
di Stefano Folli
SE LA spietata
copertina dell’inglese “Economist” contiene un nocciolo di verità, si
capisce che nessuno a Roma può minacciare a cuor leggero una crisi di
governo nell’estate della Brexit e delle banche. Né una crisi né un
frettoloso ricorso alle elezioni anticipate. Quel torpedone dipinto con
il tricolore italiano e in bilico sul precipizio è un richiamo alla
realtà che vale per tutti. Il che non basta certo a risolvere i problemi
della maggioranza: li cura in superficie, ma poi lascia che ristagnino
come un malessere persistente.
Il partito centrista di Alfano è
oggi il ramo più debole nell’equilibrio su cui si regge Renzi. Ma è un
ramo che non si spezzerà all’improvviso. Tutto lascia immaginare che non
accadrà nulla nel breve periodo, a meno che non giungano altre voci o
altre carte in grado di compromettere la posizione del ministro
dell’Interno. Nemmeno la fronda filo- berlusconiana al Senato (Schifani e
altri) ha interesse ad affondare il colpo alla vigilia delle ferie e
senza che sia chiara la prospettiva. Sotto questo aspetto, qualcosa è
cambiato rispetto al passato. Un tempo il gioco delle correnti avrebbe
aperto la formale crisi di governo e poi si sarebbe cercato un
accomodamento con uno scambio di poltrone. Ora queste procedure sono
fuori moda. Ma non significa che il governo sia forte. Tutt’altro.
Il
rischio di Renzi è di trasformarsi, quasi a sua insaputa, in un
esecutivo balneare dopo essere stato l’alfiere del “cambiamento”. È uno
scenario drammatico che il premier può ancora esorcizzare. Eppure è
quello che sta accadendo, ora che il conflitto politico sembra sospeso
senza che sia avvenuto alcun tipo di chiarimento.
Dei centristi si
è detto: galleggiano in attesa di eventi, ma ormai nessuno di loro ha
interesse a rafforzare e rilanciare il governo Renzi. Più si avvicina la
fine della legislatura, e con essa le ragioni di un’alleanza di potere,
più nel partito di Alfano crescerà il nervosismo. Nel centrosinistra
non troveranno spazio, mentre a destra possono avere posto, purché
qualcosa si muova nel mondo berlusconiano. Quanto alla minoranza del Pd,
attende gli eventi. Non può spingersi oltre nella guerra a Renzi e
peraltro la recente, inutile Direzione dimostra che non ce n’è bisogno.
Un
premier sfibrato, incalzato dall’Europa e pressoché isolato nella
campagna referendaria è persino meglio, agli occhi degli avversari
interni, di un premier costretto alle dimissioni e magari di nuovo
incaricato dal Quirinale. In questo secondo caso sarebbe molto
difficile, a Ferragosto, non concedergli la reinvestitura. Specie quando
non si hanno idee su cosa fare dopo. Non a caso, l’unico che si è posto
il problema del giorno successivo è D’Alema, ma è significativo che
nessuno abbia raccolto le sue suggestioni.
Un disagio piatto e un
po’ paludoso è la condizione in cui il governo Renzi attraverserà
l’estate. Ben sapendo, il presidente del Consiglio, che l’unico colpo
d’ala possibile riguarda la vittoria nel referendum. Sempre che non sia
troppo tardi anche lì. A Palazzo Chigi hanno compreso quanto fosse
sbagliata l’impostazione plebiscitaria e l’hanno corretta. Ma c’è da
ricostruire un rapporto con l’opinione pubblica. Dopo aver detto che il
sì o il no alle riforme era un sì o un no al governo Renzi, ora non è
facile riportare la questione nei suoi corretti termini, quelli di un
rinnovamento della Costituzione che riguarda tutti: i governi e le
opposizioni di oggi e di domani.
Tanto più che l’intreccio con la
legge elettorale resta la ragione di fondo in grado di spiegare perché
il nervosismo diffuso rimane privo di un chiarimento. Nel senso che il
chiarimento potrà nascere dalla riforma dell’Italicum, secondo tempi e
modalità che non sono maturi ma appaiono ineluttabili. Il resto è
propaganda, come il fantasma delle elezioni anticipate che viene agitato
di tanto in tanto. Nel nostro ordinamento il Parlamento viene sciolto
dal capo dello Stato e non dal premier. Conta, certo, l’orientamento del
leader della maggioranza, ma conta altrettanto l’umore delle Camere e
lo stato d’animo dell’opinione pubblica.