Corriere 9.7.16
De Benedetti: «Il fallimento delle élite aiuta i 5 Stelle. Nuova legge elettorale o voterò No»
L’ingegnere: Renzi con l’Italicum rischia di diventare il Fassino d’Italia
Nazionalizzi le banche in difficoltà e investa sul sapere oltre il tetto del 3%
intervista di Aldo Cazzullo
«Siamo
a un tornante storico. La globalizzazione di cui abbiamo cantato le
lodi genera un sentimento di rigetto verso le classi dirigenti politiche
ed economiche; e nel mio piccolo mi ci metto anch’io. Abbiamo
consentito alla globalizzazione di espandere i suoi benefici per tutti
noi: abbattere l’inflazione, rivoluzionare insieme con la tecnologia la
vita quotidiana. Ma sono aumentate drammaticamente le differenze tra chi
ha e chi non ha».
Chi ha cosa, ingegner De Benedetti?
«Soldi
e cambiamento di prospettive di vita della propria famiglia. In
America, ma non solo, si è avuta la distruzione della classe media, di
quelli che oggi votano Trump».
Trump vincerà?
«Mi rifiuto di pensare che l’America possa eleggere uno come lui».
Un miliardario.
«Uno
che racconta di essere miliardario, ma confonde i suoi debiti con il
suo patrimonio: ha sei miliardi di debiti, al netto avrà un patrimonio
attorno ai 200 milioni di dollari. Non posso pensare che i valori basici
su cui è stata costruita la società americana, e che la tengono insieme
nonostante esplosioni di rabbia tipo quella di Dallas, scelga Trump,
che promette il totale isolazionismo. Anche se capisco la rabbia
dell’operaio della General Motors che vuole votarlo».
Trump può vincere in Stati democratici e industriali come il Michigan e la Pennsylvania.
«L’operaio
della General Motors 15 anni fa era classe media. Aveva una casa, il
mutuo. Era uno dei propulsori dell’ascensore sociale, perché poteva
mandare suo figlio all’università. Oggi il combinato disposto della
tecnologia e della globalizzazione l’hanno espulso dal posto di lavoro,
ridotto a cameriere da Starbucks o a fattorino per Amazon. Non è più
classe media, non può più mandare i figli a un’università che costa 50
mila dollari l’anno per 5 anni. Per questo l’antica divisione tra
democratici e repubblicani è del tutto scomparsa».
Lei scrive
sull’Espresso che la medesima cosa è accaduta al referendum su Brexit:
sono saltate le categorie conservatori-laburisti.
«Guardi, è la
quarta volta in vita mia che scrivo un articolo su un giornale del
gruppo. Il primo lo scrissi sulla riunificazione tedesca: previdi che la
Germania l’avrebbe fatta pagare agli altri europei, con l’austerity. Il
secondo alla vigilia della guerra in Iraq, presagendo il disastro. Il
terzo dopo la vittoria apparente degli americani, che in realtà apriva
la strada al collasso del Medio Oriente e al terrorismo».
E ora cosa prevede?
«Una
nuova, drammatica crisi economica globale. Tenete d’occhio il cambio
dollaro-yuan: la Cina comincia a svalutare, spia di una visione
assolutamente negativa. Non so se sarà tra un mese o tra un anno; so che
questa bolla finanziaria è troppo pericolosa. La Fed, la Bce, la Bank
of Japan hanno riversato sul mondo tonnellate di moneta, ma non hanno
contrastato la deflazione. Oggi ci sono 11 trilioni di dollari di titoli
di Stato, emessi da vari Paesi, che hanno rendimento negativo. Questi
soldi, stampati per entrare nell’economia, sono rimasti in una nuvola
che aleggia sopra di noi e che spostandosi determina scossoni finanziari
e minacce di tuoni e fulmini, senza penetrare nell’economia reale. È
come se ci fosse un immenso prato che ha disperata sete di acqua, ma è
coperto da un telo di plastica; la pioggia non dà ristoro, si trasforma
in torrenti che sconvolgono il territorio».
Brexit c’entra?
«Brexit
è una conseguenza, non una causa. La globalizzazione è diventata
insostenibile perché crea troppe diseguaglianze. Nel 2002 lo 0,01% degli
americani più ricchi guadagnavano a testa 700 mila dollari; oggi
guadagnano 21 milioni».
La nostra Brexit è il referendum costituzionale. Lei come voterà?
«Non
sono tra chi considera la Costituzione intoccabile. Io il 1946 me lo
ricordo. Ero rientrato nell’agosto del ’45 da due anni di campo profughi
in Svizzera. La prima preoccupazione era che non potesse tornare il
fascismo. La nostra Costituzione, con due Camere che fanno lo stesso
lavoro come in nessun altro Paese, è anche figlia della paura
dell’errore. Oggi le condizioni sono del tutto mutate. Anche la
Costituzione Usa è cambiata più volte; ma non ribaltando le garanzie dei
pesi e contrappesi che costituiscono la democrazia americana chiunque
sia al potere; e soprattutto non in accoppiata con la legge elettorale.
Il combinato disposto della proposta di modifica costituzionale, e di
una legge elettorale pensata per un sistema bipolare in un sistema
tripolare, consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto,
dalla Camera al Quirinale. È un pericolo che l’Italia non può correre».
Quindi voterà no?
«Spero
di non essere costretto a votare no. La riforma ha molti aspetti
positivi. Ma se l’Italicum non cambia, esprimerò la mia contrarietà. Per
questo mi auguro che intervenga la Consulta. O che lo cambi prima
Renzi».
Renzi lo esclude.
«Altri all’interno del Pd la
pensano diversamente. Ci possono essere diverse leggi elettorali. Il
Mattarellum è compatibile con le riforme costituzionali e non comporta i
rischi dell’Italicum. Uno non può fare una legge elettorale in base
alla situazione esistente; ma non può non tenerne conto. Altrimenti
Renzi rischia di diventare il Fassino d’Italia».
Cioè di essere battuto dai 5 Stelle?
«Al ballottaggio i secondi e i terzi arrivati si alleano contro il primo. Non è politica; è aritmetica».
I 5 Stelle sono un pericolo?
«I
5 stelle sono la concretizzazione democratica della ribellione alle
élite. Contestano quello che c’è ma non si sa esattamente cosa vogliano.
Ora si preparano a diventare classe di governo: Grillo dice che non è
contro l’Europa ma contro “questa Europa”: cosa significa, come la
vorrebbe cambiare? La Raggi annuncia che vuole Roma pulita; bene, lo
voglio anch’io; ma come? Di Maio vuole il reddito di cittadinanza; bene,
ma chi lo paga?».
Intende dire che dopo sei mesi di governo Di Maio arriverà la trojka?
«Non
lo so. Certo uno che non ha esperienza, mi propone il reddito di
cittadinanza e non mi dice come lo finanzia, a me suscita una certa
diffidenza».
Nel giro di pochi mesi ci attendono voti decisivi in Italia, in America, in Austria, in Francia.
«È
come se lampadine di colore differente si accendessero tutte insieme in
varie parti dell’Occidente, a segnalare il rischio del populismo. In
Italia Grillo, in Austria e in Ungheria il paranazismo. In Inghilterra
il populismo si è chiamato Brexit, negli Usa si chiama Trump, in Francia
Marine Le Pen. Sono movimenti diversissimi tra loro, ma indice di uno
stesso disagio».
Il populismo può ancora essere sconfitto?
«Sì,
se si prende atto del fallimento delle élite. Faccio un esempio
italiano. Capisco la buona fede con cui Renzi ha fatto i famosi 80 euro,
nella convinzione di rimettere in moto i consumi e dare una spinta
all’economia. Quella misura ci è costata 10 miliardi. Io penso che li
avremmo dovuti spendere per borse di studio in facoltà scientifiche —
ingegneria, fisica, biologia, medicina —, con criteri di selezione
durissima, ma che evitassero la più odiosa delle ingiustizie: l’
educational divide , la diseguaglianza del sapere. Io non lo vedrò, ma i
miei nipoti vivranno in un mondo in cui non si sarà discriminati per i
soldi o il colore della pelle, ma per l’accesso al sapere».
Lei in
un’intervista al «Corriere» del novembre 2011 espresse un giudizio
negativo su Renzi. Tre anni dopo ammise di aver cambiato idea. Oggi cosa
pensa di lui?
«Il mio giudizio resta positivo. Renzi ha
rappresentato un elemento di cambiamento cinicamente violento ma
assolutamente utile al Paese. Ha aperto a una classe politica più
giovane — e glielo dice uno vecchio —, meno legata alla storia, alle
lobby, alla tradizione, più libera e spregiudicata nel modo di pensare.
Renzi ha rotto la corda del trascinamento del passato. Ma è un
formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il
lavoro, le banche non vanno bene. Non è certo colpa di Renzi; ma Renzi,
come me, fa parte delle élite. E la gente se la prende con lui, dopo due
anni di governo e tenuto conto dell’enorme potere che si è conquistato
in modo totalmente democratico».
A dire il vero non è mai stato eletto.
«Queste
sono sciocchezze. È stato eletto presidente della Provincia, sindaco di
Firenze, segretario del Pd. Non è andato al governo con i carri armati
ma all’interno del sistema costituzionale, come i suoi predecessori, pur
essendo diversissimo da loro. E per fortuna».
Anche da Prodi?
«Prodi
a mio avviso ha sbagliato sull’allargamento dell’Unione europea. La
globalizzazione non è solo la Cina: pensi a quanti posti di lavoro ci
sono costate le delocalizzazioni in Romania e Bulgaria».
Renzi perderà il referendum?
«Lo
perde se non spiega bene la sua riforma. Il consenso è calato, ma non è
certo colpa del Corriere , come qualcuno pensa; è colpa del fatto che
hanno ridotto molto il contatto con la gente. Eppure è un calo, non un
crollo come quello di Hollande. Renzi è ancora in tempo a salvarsi. A
una condizione».
Quale? Cosa deve fare?
«Ribellarsi alle regole europee su due punti. Primo: nazionalizzare le banche che non ce la fanno da sole».
Non può, l’Europa non lo consente.
«Non
sono d’accordo. Lo dice anche l’ Economist , che non è un pericoloso
sovversivo come me. Lei crede che la Germania non salverà la Landesbank
di Brema? Cambiamo nome al Monte dei Paschi, chiamiamolo Landesbank
Siena. E aiutiamolo. Lei crede che l’Europa sanzionerà Spagna e
Portogallo per il deficit eccessivo? Non lo farà. Bisogna ribellarsi
all’Europa delle regole, altrimenti rovesceremo il principio
democratico. È la politica che fissa le regole, non le regole che
fissano la politica».
E il secondo punto su cui Renzi dovrebbe disobbedire all’Europa?
«Sul
vincolo del 3% per investire sul sapere. Collegare alla banda larga
tutte le scuole sarebbe il vero modo di cambiare verso. Ridare la leva
del sapere a chi la merita è più importante che rispettare un numerino.
Se l’Europa vuole battere un colpo, cominci dalle generazioni future.
Un’Europa che parla solo del passato rischia di morire, di dissolversi e
— uso una parola grossa — di tornare alla stagione delle guerre».