Repubblica 9.7.16
La doppia partita sulla legge elettorale
di Stefano Rodotà
È
STATO evidente fin dall’inizio che le proposte di modificare la legge
elettorale esprimono strategie diverse, anche profondamente
conflittuali. Si sta giocando una partita tutta politica, in cui si
coglie anche un forte uso congiunturale delle istituzioni, appiattite
sulle esigenze del breve o brevissimo periodo. È quel che sta accadendo
con le proposte di modificare la legge elettorale per impedire la
vittoria del Movimento 5Stelle in un eventuale ballottaggio, che
tuttavia, con il passaggio dal voto di lista ad uno di coalizione,
servirebbe pure a salvare gli spezzoni di partito all’interno di
centrodestra e centrosinistra, che altrimenti sparirebbero.
All’opposto,
le modifiche dovrebbero restituire la legge elettorale alla
costituzionalità, messa radicalmente in dubbio dalle iniziative che
hanno portato l’Italicum davanti alla Corte costituzionale, con la
speranza che essa lo demolisca in tutto o nelle sue parti più
significative com’è avvenuto con il Porcellum. Compare così un altro
soggetto nella partita politica in corso, con un ruolo particolarmente
rilevante, sia per le sue specifiche competenze, sia perché dovrebbe
affrontare il problema il 4 ottobre, dunque in un momento che cade nella
fase referendaria (a meno che i giudici della Consulta non trovino
soluzioni che li liberino da questa incomoda coincidenza).
Ma la
discussione sulla legge elettorale ha prospettato una diversa finalità,
ancor più ambigua e distorcente. Si prospetta con insistenza una sorta
di “liberi tutti”, nel senso che si sostiene esplicitamente che, se
l’Italicum verrà modificato, cadrebbero le ragioni che inducono taluni a
ritenere che, a questo punto, il voto referendario potrebbe
tranquillamente essere orientato verso il Sì. Questa, tuttavia, appare
più come la ricerca di un alibi che come una plausibile argomentazione.
Infatti, pur essendo evidente la connessione tra legge elettorale e
riforma costituzionale, gli effetti pesantemente negativi dell’Italicum
richiedono una sua riscrittura, intervenendo seriamente sul doppio
meccanismo maggioritario, sul fatto che si continua ad essere di fronte a
nominati più che a eletti, sull’evidente concentrazione del potere
verso l’alto, nelle mani del governo anche per quanto riguarda i tempi
del procedimento legislativo. E, soprattutto, dovrebbe essere recuperato
il diritto dei cittadini ad essere rappresentati, la cui mancanza ha
determinato l’incostituzionalità del Porcellum. Anche così, tuttavia,
non scomparirebbero i vizi della riforma costituzionale, e il passaggio
al Sì sarebbe poco più che una operazione di convenienza. Renzi, da
parte sua, continua ad escludere che la legge elettorale possa essere
modificata.
Tutto troppo aggrovigliato? Ma le cose stanno proprio
così, e bisogna averne consapevolezza perché questo dimostra che la
discussione non può essere chiusa in modo autoritario, come peraltro
dimostra la proposta di Franceschini di riprendere la questione dopo il
referendum. Peraltro, qui siamo di fronte ad una questione più generale e
ad una clamorosa contraddizione. Si ripete che bisogna discutere “nel
merito” e poi, invece, si afferma perentoriamente che il testo della
riforma deve essere accettato in blocco, perché è già stato fatto un
gran lavoro, perché bisogna rispettare la coerenza interna dei testi e
perché potrebbe altrimenti determinarsi una situazione difficilmente
gestibile. Questo, però, è un argomento improprio, a suo modo
ricattatorio, perché ai cittadini deve essere riconosciuto nella sua
pienezza il diritto di fare la loro scelta in una materia sbandierata
come un cambiamento radicale del sistema. La confusione, se mai, è il
frutto del modo approssimativo e disinvolto con il quale il governo ha
impostato la questione, associando impropriamente la vittoria del No ad
una inevitabile fase di incertezza, addirittura allo scioglimento delle
Camere, del tutto estraneo alle sue competenze.
Inoltre, questo
modo aggressivo di procedere, che sostanzialmente vuole delegittimare il
No, crea ogni giorno di più una divisione profonda tra i cittadini, sì
che l’eventuale vittoria del Sì ci consegnerebbe una Costituzione
“provvisoria”, quasi certamente approvata solo da una minoranza. La
conseguenza? La fragilità del testo, perché evidentemente il programma
delle forze di opposizione avrebbe come punto essenziale proprio il suo
cambiamento. Un bel risultato da parte di chi va predicando stabilità.
La
verità è che, una volta di più, pesano la povertà culturale, l’assenza
di una memoria storica. Non si è sfiorati dalla necessità di riflettere
sul senso di responsabilità degli autori della Costituzione che,
all’indomani dell’esclusione dal governo dei partiti di sinistra, non
fecero prevalere interessi di parte, mantennero fermo il principio della
condivisione, e così garantirono la lunga durata della Costituzione e
la possibilità che in essa potessero riconoscersi le forze più diverse.
Oggi la riforma costituzionale è stata buttata nel conflitto politico in
modo disinvolto e tecnicamente approssimativo. Ma è possibile una
riforma costituzionale senza cultura costituzionale?
Bisogna
procedere così perché la riforma è attesa da troppo tempo? L’argomento è
inconsistente e pericoloso, perché una cattiva riforma rimane tale
quale che sia la sua originaria motivazione. Torna così la questione del
giudizio sul merito, che riguarda le parole d’ordine adoperate dai
sostenitori della riforma. Non v’è la semplificazione legislativa,
perché è stato abbondantemente dimostrato il moltiplicarsi dei
procedimenti ai quali è associato il Senato, l’incidenza sul principio
della sovranità popolare, con effetti rilevanti sull’idea stessa di
sistema democratico. Le minori spese sono poco più che una furba
strizzata d’occhio alla peggiore antipolitica, peraltro realizzabili in
maniera più intelligente e persino più incisiva. Rimane ancora incerto
il criterio di selezione dei consiglieri regionali che dovranno far
parte del nuovo Senato. Stiamo andando verso la votazione di un testo
costituzionale incerto, sul quale bisognerà subito mettere le mani. È
accettabile?
Ma, si dice, finalmente ci liberiamo del
bicameralismo perfetto, fonte di lungaggini e di compromessi — Qui la
manipolazione dell’informazione è ancora più evidente. Si identificano i
critici della riforma con i sostenitori del sistema attuale, mentre
basta leggere le molte proposte di modifiche presentate nel corso delle
audizioni parlamentari per rendersi conto che proprio da molti di loro
erano stati prospettati cambiamenti del sistema più profondi e
razionali. E si è addirittura cercato di arruolare, senza troppa
fortuna, nelle schiere degli attuali riformatori Berlinguer, Ingrao,
Iotti, che a questi problemi avevano guardato con ben altri occhi.
Di
nuovo una questione di cultura, che ci porta a un tema centrale della
discussione. Quale informazione sta accompagnando la già lunghissima
campagna elettorale? L’asimmetria di potere è clamorosa, come dimostrano
i dati riguardanti la presenza dei sostenitori del Sì in particolare
nei programmi della televisione pubblica. Dobbiamo aspettare la
fissazione della data del voto, che individuerà così anche il periodo in
cui dovrà essere garantito un minimo di par condicio? E sembra vano
sperare in una qualche neutralità del governo, che continuamente
trasforma troppe sue iniziative in argomenti a favore del Sì.
Giorno
dopo giorno si accumulano così conflitti politico-istituzionali che i
sostenitori del Sì faticano a gestire senza una loro drammatizzazione,
senza chiamare a raccolta le persone e gli argomenti che vogliono
mostrare come non esista alcuna alternativa ragionevole. E poiché
protagonista obbligato di questa vicenda è il presidente del Consiglio,
chiedergli di “spersonalizzare” è quasi una contraddizione insuperabile.