il manifesto 9.7.16
Italicum, quella modifica per una coalizione che non c’è più
«Non
vinceremo questo referendum evocando la paura del no. È vero, i rischi
per l’Italia sono notevoli: ma noi non dobbiamo evocare la paura. Perché
nel nostro Dna c’è la speranza, non la paura. Costruire una proposta,
non evocare una minaccia». Nella sua enews il presidente Renzi
approfondisce l’opera di sminamento e «spersonalizzazione» del
referendum costituzionale di ottobre – o novembre? -. Non c’è da agitare
paure, dice, anche se, sia chiaro, con il sì «l’Italia diviene un Paese
più semplice. Ci saranno meno politici, meno sprechi di tempo e denaro,
più partecipazione, più chiarezza di ruoli». Ma non è evocando sfaceli
che vuole risalire la china.
Anche la ministra Boschi attenua i
toni apocalittici in caso di vittoria del no: «Le sorti del governo non
c’entrano», dice al consiglio nazionale di Centro Democratico: «non
vogliamo un voto di fiducia o di simpatia al governo ma un dibattito
serio e approfondito». L’operazione ’simpatia’ dopo i giorni della
minaccia dei disastri è la parola d’ordine di tutto il partito di
maggioranza. E investe naturalmente la legge elettorale. Lorenzo
Guerini, vicesegretario con delega sostanziale all’aggiustamento degli
spigoli, infatti ribadisce: «Restiamo aperti al confronto, ma solo su
ipotesi concrete che abbiano una base solida a livello numerico», ma
«bisogna essere molto chiari. Il tentativo di tenere insieme il tema
della riforma costituzionale con quello della legge elettorale è
assolutamente sbagliato e rischia di confondere gli elettori».
Ma
non sono gli elettori i destinatari del balletto di aperture e chiusure
sulla legge elettorale e sul premio di maggioranza alla coalizione
anziché alla lista. I destinatari sono i partiti e i partitini del
centro e centrodestra ai quali subito restituire la speranza di tornare,
in qualche modo, in parlamento, per farli sfilare dal fronte della
rivolta anti-Renzi, sempreché questa rivolta si stia davvero coagulando.
Un
passo alla volta: ieri Renzi è atterrato a Varsavia per il vertice Nato
con la ragionevole certezza di aver ricompattato la maggioranza dopo il
caos interno di casa Alfano. E di aver risposto al meglio al malumore
dei centristi sulla possibilità di far risorgere le defunte coalizioni.
Persino Graziano Delrio, ultrà sul fronte del mantenimento dell’Italicum
così com’è, ammette che «il Parlamento è sovrano» e «il Vangelo è stato
scritto da qualcun altro». Tutto pur di sottrarre il centro e la destra
al fronte del no, e della minaccia di elezioni anticipate con legge
elettorale proporzionale e senato con sbarramento inarrivabile.
Un
discorso che non riguarda affatto invece la sinistra alla sinistra del
Pd. Allo stato Sinistra italiana, ex Sel, per il dopo referendum prepara
un congresso in cui il fronte del «mai più con il Pd» è in vantaggio,
almeno per ora e a segreteria di Renzi ancora in piedi. Molto, se non
tutto, dipende dal voto di ottobre. Ma la sinistra del centrosinistra di
fatto non c’è più, e il premio alla coalizione non la resusciterebbe.
Renzi lo sa, e persino lo auspica: non è da quella parte che guarda per
eventuali nuove coalizioni. Almeno finché c’è lui a Palazzo Chigi, e al
Nazareno.