venerdì 8 luglio 2016

Repubblica 8.7.16
Dopo Higgs
Tra gli italiani del Cern “Noi a caccia della particella fantasma”
Scienziati in fibrillazione per un evento inatteso visto a Ginevra “Se confermato una rivoluzione per la fisica”
di Luca Fraioli

LE RIVOLUZIONI sono spesso sotterranee. Scorrono in profondità prima di deflagrare in superficie. Qui, nella campagna al confine tra Svizzera e Francia, per esempio, non si colgono i segnali della possibile svolta imminente: c’è il solito via vai di giovani ricercatori di tutto il mondo, molti di loro giocano a frisbee e ping pong sul prato davanti alla mensa del Cern. Eppure, 100 metri sotto quest’erba sta forse accadendo qualcosa che farà riscrivere i libri di fisica. Dal tunnel di 27 chilometri del Large hadron collider, il più potente acceleratore del mondo, sarebbe emersa una nuova particella elementare. Rivoluzionaria, perché non prevista da alcuna teoria, tantomeno dal quel Modello standard che si considerava completato con la scoperta, qui al Cern nel 2012, del bosone di Higgs.
È successo a dicembre, quando i responsabili di due dei quattro esperimenti montanti su Lhc hanno comunicato una anomalia nei dati raccolti: sia Cms che Atlas avevano registrato un eccesso di coppie di fotoni (le particelle che compongono la luce). Queste coppie potrebbero derivare dal decadimento di una particella con una massa di 750 gigaelettronvolt creata dalle collisioni tra fasci di protoni all’interno dell’acceleratore.
«Se fosse così sarebbe davvero una rivoluzione», ammette Tiziano Camporesi, coordinatore dell’esperimento Cms. «Una scoperta più importante di Higgs e delle onde gravitazionali: in quel caso, andava verificato qualcosa che era già stato previsto. Qui ci troveremmo di fronte a un evento completamente inaspettato. Ma l’anomalia potrebbe essere solo una fluttuazione statistica». Tradotto: è come se gli scienziati di Cms avessero lanciato 6 volte una monetina ottenendo come risultato sempre testa. Atlas, a sua volta, ha lanciato la monetina sette volte e ha ottenuto sempre testa. È un caso o la moneta ha un difetto di fabbricazione? «Per eliminare ogni dubbio», risponde Camporesi, «lanceremo le monete ancora per 24 volte, se continuerà a uscire sempre testa avremo trovato qualcosa di nuovo».
L’edifico 40 del Cern è diviso a metà, da una parte la collaborazione Cms, dall’altra i “concorrenti” di Atlas. Anche qui, come in tutto il Cern, circa il 10% dei ricercatori è italiano e la maggior parte proviene dall’Istituto nazionale di fisica nucleare. A guidarli c’è Marina Cobal: «Stiamo continuando a raccogliere e analizzare dati sull’evento da 750 GeV», conferma. «Le prossime settimane saranno cruciali perché dovremo arrivare al congresso che si terrà a Chicago dal 3 al 10 agosto con una risposta definitiva ». Ma non si può avere qualche anticipazione? La risposta è sempre no. Al massimo qualcuno si passa pollice e indice sulle labbra a mimare una chiusura lampo. Ma gli sguardi dicono più di molte parole: si coglie l’eccitazione di chi sta per avventurarsi in un territorio inesplorato.
Da dicembre i fisici teorici del Cern hanno prodotto più di 500 articoli per suggerire un nuovo modello che contempli la presunta particella da 750 GeV. «Ci hanno criticato perché non abbiamo atteso la conferma degli esperimenti », dice Gian Giudice nella sua stanza, tra la lavagna piena di formule e la bici posteggiata accanto alla scrivania. «Ma è segno della vitalità della nostra comunità. E anche se alla fine fosse una fluttuazione statistica questa storia ci ha comunque costretto a ideare nuove soluzioni». Giudice però non nasconde l’entusiasmo. «Dopo la scoperta del bosone di Higgs, Lhc è passato da 8 a 13 TeV di energia: è il salto maggiore a cui io potrò assistere nella mia vita scientifica. È normale che ci sia grande eccitazione. Inoltre se fosse una particella sarebbe solo la prima di una famiglia ancora tutta scoprire».
Dalla scoperta (confermata o confutata) dipenderà il futuro del Cern. Le ipotesi sono diverse: conservare il tunnel di Lhc ma sostituire i magneti in modo che l’energia sia molto più elevata; costruire un nuovo anello da 100 km di circonferenza; realizzare un acceleratore lineare.
«Per ora l’obiettivo è far crescere la “luminosità” di Lhc, vale a dire il numero di collisioni tra protoni», spiega Lucio Rossi, mago dei magneti superconduttori, professore alla Statale di Milano ma “in prestito” dal 2001 al Cern. «Non potendo salire molto di più con l’energia, abbiamo deciso di creare fasci con più particelle: ora ogni pacchetto contiene 100 miliardi di protoni, con l’alta luminosità ne conterrà 200 miliardi. Ma per gestire un fascio così denso ci vogliono magneti più potenti e sono quelli a cui stiamo lavorando », spiega Rossi. «In tal modo prolungheremo la vita di Lhc di dieci anni, fino al 2037».
E poi? «Dipende da come finirà con l’evento da 750GeV», risponde Biagio Di Micco, ricercatore di Atlas. «Se è una nuova particella allora basterà aumentare di poco l’energia o la frequenza delle collisioni per poter fare nuove scoperte. Se invece 750GeV non esiste, aumentare di poco non ha senso, si dovrà andare ad energie molto più elevate».
Il direttore del Cern Fabiola Gianotti non si sbilancia: «Stiamo facendo le dovute verifiche, ma è davvero un periodo molto interessante. Tra il 2019 e il 2020 si deciderà la strategia europea per la fisica delle particelle. E dipenderà da cosa avremo scoperto». Ai suoi però ha confessato che se la scopertà verrà confermata non si attenderà il congresso di inizio agosto a Chicago per l’annuncio. Sarà fatto al Cern. Questione di giorni, dunque, e sapremo.
Nella sala controllo di Lhc Mirko Pojer “guida” l’acceleratore. È lui che immette nella macchina i fasci di protoni e ne controlla la vorticosa corsa nel tunnel sotterraneo. «Abbiamo appena festeggiato il fascio più “duraturo” di Lhc», dice Pojer. «Ha viaggiato 37 ore prima di degradarsi tanto da dover essere sostituito. Stiamo facendo del nostro meglio perché i colleghi di Atlas e Cms possano raccogliere abbastanza dati per capire cosa è successo». Sulle centinaia di monitor grafici e dati: sono i protoni che corrono uno contro l’altro a una velocità prossima a quella della luce. Su una mensola, decine di bottiglie di champagne con cui si è brindato quando fu scoperto il bosone di Higgs. C’è chi giura che ne siano state già messe in fresco altre per la prossima, possibile, rivoluzione.