venerdì 8 luglio 2016

Repubblica 8.7.16
Cesare Battisti martire o traditore?
Cent’anni fa l’irredentista venne impiccato. Viaggio nei luoghi dove la sua memoria continua a dividere
di Paolo Rumiz

No, non ha vita facile in questi mesi in Trentino chi cerca di storicizzare la figura dell’ex deputato al parlamento di Vienna. «Non vedo l’ora che arrivi il 1919 e tutta questo frastuono finisca», sospira Antonelli, «tanto più che coincide con la mia pensione». In un libro dal titolo La scelta di Cesare, lo scrittore trentino Pino Loperfido narra la storia lacerante di uno studente che sceglie di dedicare a Battisti la tesi di laurea, scontrandosi col padre filo-austriaco. È la rappresentazione di un conflitto politico, identitario e generazionale che lacera una terra contesa. La quale forse non sa più da che parte stare.

Martire. Traditore. Eroe. Vigliacco. Tempra italica. Voltagabbana. Che putiferio su Cesare Battisti. Il 12 luglio ricorre il centenario della sua impiccagione per mano austriaca, e il Trentino è in subbuglio. Anzi, lo è da mesi, forse da un anno. È come se il boia Josef Lang fosse ancora lì, al castello del Buonconsiglio sull’Adige, tronfio e rubicondo con la bombetta, a ripetere l’esecuzione all’infinito. Una moviola che inquieta e indigna ancora, riaccende polemiche, divide persino le famiglie, spacca in due l’intera provincia. Ovunque il centenario della Grande Guerra è passato in secondo piano,
ma non qui. Che succede dunque ai piedi delle Alpi, nella terra italiana che fu impero asburgico fino al 1918?
Domenica gli Alpini andranno a celebrare una messa sul luogo della cattura, dalle parti del Pasubio, con canti di montagna e discorsi su Battisti disarmato con la pistola in pugno. Ma è già da un po’ che gli Schuetzen di lingua italiana e nostalgia austriaca sfilano con pennacchi e divise per mettere in circolo la storia di una cattura assai meno eroica, inquadrata nella leggenda nera di un traditore, socialista rinnegato, aggressivo e nazionalista. Intanto i social network ribollono di insulti incrociati, in mezzo a improbabili riferimenti alle saghe di Tolkien e alle leggende celtiche tipo Excalibur. Invece che a una riflessione storica, si assiste a un derby Italia-Austria della peggior specie, con frasi tipo «Terroni schifosi» e «Hanno ammazzato Cesare. Cesare vive».
Con gli autonomisti al potere e l’industriale Ugo Rossi a presiedere la provincia, attaccare Battisti è diventato di moda: un modo indiretto per far voti, per smarcarsi dal resto del Paese, se non per evitare di dirsi italiani. Una voglia di piccola patria, di autonomia ancora maggiore, alimentata anche dalla febbre disgregatrice che in queste settimane s’è impossessata dell’Europa. Quinto Antonelli, ricercatore storico, che pure ha narrato come nessuno l’epopea dei sessantamila soldati trentini in divisa austriaca sui fronti della guerra mondiale, sostiene che «questa terra, a differenza del Tirolo, non ha un eroe autonomista come Andreas Hofer, e allora si costruisce un’identità attraverso un anti-mito». Meccanismo spericolato, che finisce per dividere più che unire.
Il bello è che in Sudtirolo, sicuramente più “austriaco” del Trentino, non esiste nulla di tutto questo, e tanto rimestare tra necrofilia e propaganda fa letteralmente rabbrividire. Non parliamo delle terre di lingua tedesca a Nord delle Alpi, dove è fiorita da anni una robusta storiografia sull’impiccagione facile (soprattutto di civili) per mano austroungarica, e per la quale l’icona di quel fiero Battisti barbuto, appeso al palo sotto il boia viennese in posa per i fotografi, rappresenta il simbolo di una guerra perduta in partenza. Un mondo dove, come scrisse Karl Kraus, la corda insaponata dell’impiccatore è strettamente connessa con il walzer viennese e la Sachertorte. Insomma, una storia – anzi una sindrome - solo trentina.
Il risultato di tanto gridare è che a un secolo di distanza è ancora impossibile staccare Battisti dal “santino” in cui è stato collocato, e la messa a punto storica del personaggio è ancora lontana da venire. «Si dice solo che era un martire», brontola lo storico padovano Mario Isnenghi, «ma assai meno che era socialista, e soprattutto che era un geografo con un’ottima conoscenza della sua terra. Tutto è banalizzato in funzione politica ». Gli fa eco la germanista Paola Maria Filippi: «Gli uni dimenticano che Battisti ha tradito il neutralismo socialista, gli altri fanno finta che a dichiarare la guerra non sia stata l’Austria, la quale mandò a morire undicimila trentini sul fronte russo. E non si dice che i soldati trentini erano trattati male in quanto italiani».
Difficile, in questo clima, fa uscire dall’ombra dettagli importanti, come il fatto, ricordato da Isnenghi, che, «durante la guerra, Battisti sui movimenti austriaci la sapesse più lunga dei servizi segreti romani, i quali per questo non lo amavano», oppure che egli chiamò Mussolini nel 1909 al quotidiano Il Popolo, facendolo poi cacciare per eccesso di anticlericalismo. Ma il momento più interessante e drammatico della sua vita è il passaggio all’interventismo “democratico” e la sua difficoltà a differenziarsi dai nazionalisti duri e puri, i quali saranno i primi, dopo la sua morte, a manipolarne la figura.
Nel 1914 Battisti si trasferì in Italia e compì per il Paese un tour incendiario (a Reggio Emilia due socialisti neutralisti furono uccisi mentre il nostro tuonava in favore della guerra) con il motto “Ora o mai” e l’idea di portare il confine al Brennero. Quasi un salto nel vuoto, compiuto con spirito risorgimentale nonostante i tempi della “Bela Gigugin” fossero tramontati da tempo e la guerra, esplosa in altre parti d’Europa, avesse svelato le sue dimensioni apocalittiche e il suo osceno tritacarne.