venerdì 8 luglio 2016

Corriere 8.7.16
Un Giardino dei giusti contro il fanatismo
di Francesco Battistini

Se ne faccia una ragione chi propaganda il contrario: esiste un Islam buono. Dei Giusti. E nel giardino di Allah si trovano molti semi che danno frutti diversi dall’odio. A dircelo non è un islamico. È un ebreo: Gabriele Nissim, lo storico che da sempre cerca l’impronta di chi non è arretrato davanti ai violenti e il 15 luglio, all’ambasciata italiana di Tunisi, pianterà il primo Giardino dei Giusti in un Paese arabo. Cinque alberi, dedicati a cinque musulmani dalla schiena dritta. L’ultimo è un bengalese: Faraaz Hussein, lo studente che nel ristorante di Dacca aveva dimostrato di saper recitare il Corano ed era stato risparmiato dai terroristi, ma è rimasto lì a farsi ammazzare pure lui, pur di non abbandonare le due amiche tra le belve.
Sarà una cerimonia semplice. L’ambasciatore Raimondo De Cardona porterà nel giardino qualcuno che suoni l’Adagio di Albinoni e i Crisantemi di Puccini. Parlerà l’avvocato Abdessatar Ben Moussa, uno dei quattro tunisini che hanno ricevuto il Nobel per la pace nel 2015, bandiera d’un piccolo Paese pieno d’islamisti che cerca di sperimentare la laicità. E diranno tutto i nomi degli altri musulmani commemorati con quelle piante. Il più famoso in Tunisia e non necessariamente il più amato — ha già una piazza dedicata nella capitale, ma sono molti connazionali a considerare il suo gesto l’inizio d’una serie di guai — è Mohamed Bouazizi: l’ambulante che nel 2010 si diede fuoco per protestare contro la dittatura di Ben Ali, incendiando con le primavere arabe otto Paesi del Medio oriente e del Nord Africa. Il più conosciuto nel mondo è un siriano: Khaled al-Asaad, l’archeologo di Palmira, che la scorsa estate venne ucciso dall’Isis e il cui cadavere fu appeso per strada, pubblico monito a chiunque tenti di strappare i tesori dell’umanità alla furia degl’iconoclasti. Il più studiato sui libri di storia è Khaled Abdul Wahab, lo Schindler tunisino che durante l’occupazione nazista nascose una famiglia ebrea nel frantoio della sua fattoria.
Questi omaggi hanno, evidente, un significato politico. Di Wahab amico degli ebrei, esiste già una targa nel Giardino dei Giusti di Milano. E anche a Gerusalemme, a Yad Vashem, c’è una pianta che ricorda un altro arabo (il medico egiziano Mohamed Helmy) che si dimostrò capace d’opporsi alla Shoah. Il punto però è che in tutti i Paesi musulmani oggi abbondano le celebrazioni degli shahid, dei martiri della fede islamica. Ma è rarissimo che si trovi un memoriale per chi s’è opposto al fanatismo ideologico o religioso. Il 15, toccherà a Tunisi rompere il tabù. E anche per questo, il quinto onorato all’ambasciata italiana non sarà solo il fruscio d’un albero: si chiama Mohamed Naceur Ben Addesslem, per tutti Hamadi, ed è la guida turistica al Museo del Bardo che si trovava nella sala di Virgilio e, nel mezzo del massacro, riuscì a proteggere una quarantina d’italiani sotto tiro. Dimenticato dalle cronache e anche dalla gratitudine dei sopravvissuti, Hamadi non ha mai dimenticato quel giorno: «Mi piacerebbe poter incontrare i turisti che scapparono con me: in fondo sono legato al vostro Paese e, voi italiani, vi ho sempre considerato miei amici, non miei clienti». Un Giusto vivente. Parlante. Scomodo per chi spara proiettili e per chi sputa sentenze: «Un giardino non può cambiare il mondo — dice Nissim — , ma è un segno di controtendenza. La risposta al fascino mediatico d’un Trump, per esempio: uno che considera ogni musulmano un potenziale nemico dell’umanità». Chi salva un uomo, salva il mondo: non è curioso che lo dicano tutte le religioni del mondo?