venerdì 8 luglio 2016

Repubblica 8.7.16
La virologa Capua e l’inchiesta rimasta nel cassetto per 7 anni. Ora interviene il Csm
La scienziata fu interrogata nel 2007. Ecco come una indagine è diventata un caso kafkiano
di Carlo Bonini

ROMA. La vicenda giudiziaria della virologa Ilaria Capua e dei suoi trentanove coimputati accusati di aver trafficato in virus esponendo il nostro Paese a un’epidemia di influenza aviaria per assicurare un posto al sole a un cartello di società farmaceutiche nella corsa ai vaccini, è in una domanda cui, da martedì scorso, nessuno ha saputo o ha avuto voglia di rispondere. E che conviene riproporre. Perché ci sono voluti 12 anni per concludere che non esisteva materia per procedere vista «l’insussistenza del fatto» e, lì dove pure sarebbe esistita, prendere atto che, ormai, i fatti erano prescritti? Ieri, il consigliere laico in quota Forza Italia, Pierantonio Zanettin, ha chiesto al Csm l’apertura di una pratica per «incompatibilità ambientale» a carico del Procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, il magistrato che, di questa storia, è stato il solitario dominus inquirente. E, da ieri, il Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ha ritenuto di non rendersi disponibile ad alcune domande di Repubblica.
Bisogna dunque accontentarsi delle “carte” – circa 20mila fogli – e di qualche data certa. Abbastanza, come vedremo, per correggere qualche ricordo dei protagonisti non esatto e capire dove, come e quando questo affaire si è trasformato nella catastrofe giudiziaria ora sotto gli occhi di tutti.
“PROCEDIMENTO 24117/2006”
La faccenda ha il suo incipit il 18 marzo 2005. Quel giorno, Robert S.Stiriti, dell’Immigration and Customs Enforcement statunitense, agenzia appartenente all’Homeland Security, informa con una nota protocollata “RM 07PQ03PM0001 (EPA), al capitano Marco Datti, Comandante del Nas dei Carabinieri di Roma, che dall’attività di indagine svolta sull’azienda Maine Biological laboratories nell’ambito di un’inchiesta su un contrabbando di virus tra Stati Uniti ed Arabia Saudita, è emerso che, nell’aprile del 1999, un ceppo del virus dell’influenza aviaria, denominato H9, è stato spedito con corriere Dhl a un impiegato della ditta Merial Italia senza le prescritte autorizzazioni. Quel signore si chiama Paolo Candoli, è un manager Merial, divisione veterinaria del colosso farmaceutico Sanofi e, interrogato dagli americani, patteggia la propria immunità mettendo a verbale quanto dice di sapere sul contrabbando dei virus. I suoi verbali vengono trasmessi nella seconda metà del 2005 ai carabinieri del Nas. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo apre un fascicolo e, partendo proprio dalla figura di Candoli, chiede e ottiene che vengano disposte intercettazioni telefoniche. Il fascicolo prende il numero 24117/2006.
Due anni di intercettazioni e indagini convincono i Nas prima e Capaldo poi di aver afferrato il bandolo di un’associazione a delinquere che traffica in contrabbando di virus per consentire ad un cartello di aziende farmaceutiche di acquisire posizioni di vantaggio nella sintesi e vendita dei vaccini. E che di questa associazione snodo cruciale sia Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, in quel momento responsabile del Dipartimento di Scienze Biomediche comparate dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie con sede a Padova. Una scienziata classificata dalla rivista Scientific American tra i primi 50 al mondo e nota non solo per i suoi studi sul virus dell’influenza aviaria umana H5N, ma per aver reso pubblica, proprio nel 2006, la sequenza genetica del virus. Di più: l’indagine coinvolge il marito della Capua, Richard John William Currie, dipendente dell’altra azienda farmaceutica interessata alla sintesi di vaccini, la Fort Dodge Animal di Aprilia, e altri 38 indagati, tra cui tre scienziati al vertice dell’Izs di Padova (Igino Andrighetto, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli), funzionari e direttori generali del Ministero della Salute (Gaetana Ferri, Romano Marabelli, Virgilio Donini ed Ugo Vincenzo Santucci), alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario (Gandolfo Barbarino, della Regione Piemonte, Alfredo Caprioli dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Maria Cancellotti, direttore generale dell’istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana, Giorgio Poli della facoltà di Veterinaria dell’università di Milano, Santino Prosperi dell’università di Bologna), e Rita Pasquarelli, direttore generale dell’Unione nazionale avicoltura.
L’INTERROGATORIO DEL 2007
Nel 2007, la vicenda, da un punto di vista investigativo, potrebbe dirsi chiusa. E la circostanza è tanto vera che, il 2 luglio di quell’anno, contrariamente a quanto sostenuto nelle interviste rilasciate nei giorni scorsi («nessuno mi ha mai sentito»), Ilaria Capua viene interrogata da Giancarlo Capaldo, alla presenza dell’avvocato Oliviero De Carolis, che in quel frangente sostituisce l’avvocato Paolo Dondina (oggi l’Espresso pubblicherà sul suo sito il dettaglio di quell’interrogatorio, mentre ieri la Capua non ha dato seguito ai messaggi lasciati da Repubblica). È una circostanza che, al di là del merito della vicenda processuale, prova come, in quel 2007, il Procuratore aggiunto di Roma e gli indagati si muovano su un terreno di cui ormai è stato definito il perimetro. E per il quale è dunque possibile andare rapidamente a una conclusione dell’indagine. Che, invece, non arriva.
IL LETARGO
Il procedimento 24117/2006 entra infatti in un letargo da cui i Nas dei carabinieri provano inutilmente a destarlo con un’ultima informativa nel 2010. Ma senza esito. Nel frattempo, la vita della Capua cambia. Nel febbraio del 2013 viene eletta deputata di Scelta civica. Della sua vicenda giudiziaria nessuno, tranne gli interessati, sa. E persino il nuovo procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, ne rimane all’oscuro fino al 2014. Quando di quell’inchiesta, in aprile, dà conto nel dettaglio, anche temporale, il settimanale Espresso e la Capua decide di rivolgersi all’avvocato Giulia Bongiorno, nominata subito dopo la pubblicazione dell’articolo. La Bongiorno sollecita più volte Capaldo a una definizione del procedimento, che, di fatto, è ormai solo un processo di carte per giunta invecchiate di sette anni. Non fosse altro perché delle due l’una. O quelle accuse sono fondate e un’associazione a delinquere di quella pericolosità va messa nelle condizioni di non nuocere, o invece non reggono e allora gli indagati vanno liberati del fardello. L’avviso di conclusione indagini e le richieste di rinvio a giudizio per i 40 indagati arrivano a giugno 2014. L’udienza preliminare, nel maggio dell’anno successivo, vede il gup di Roma, Michela Francorsi, dichiarare l’incompetenza territoriale di Roma e “spacchettare il processo” in tre tronconi. A Verona, Padova e Pavia. A Pavia molti reati arrivano già prescritti. Lo stesso a Padova, dove il pm chiede l’archiviazione per prescrizione (il gup non si è ancora pronunciato). A Verona, dove la Capua è difesa dall’avvocato Armando De Zuani, il gup Laura Donati pronuncia il non luogo a procedere perché «il fatto non sussiste». Con una sola eccezione, un’accusa di concussione per induzione che risulta tuttavia prescritta. Il caso è chiuso. Dodici anni buttati. Per tutti.