venerdì 8 luglio 2016

Corriere 8.7.16
Dem in affanno per raccogliere le ultime firme del referendum
di Massimo Franco

I vertici del Pd ostentano abbastanza sicurezza. Confidano di riuscire a raccogliere le cinquecentomila firme a favore del Sì al referendum costituzionale entro metà luglio. Aggiungono anche che sarebbero sorpresi se non ci riuscissero. Ma ammettono che ne mancherebbero ancora circa centomila; e che nei prossimi giorni faranno una corsa contro il tempo per arrivare al traguardo. Il partito si sta muovendo, e le città che hanno spedito le firme al rallentatore perché si era votato alle Amministrative e nei ballottaggi del 19 giugno, adesso stanno recuperando.
Certamente, non c’è l’entusiasmo che forse Matteo Renzi immaginava quando decise una mobilitazione tesa a aiutare un referendum già valido, perché proposto da un numero sufficiente di parlamentari. Si percepiscono piuttosto incertezza, nervosismo: come di fronte a una trappola messa nella convinzione di catturare gli avversari, che di colpo si rivela insidiosa per chi l’ha inventata. La data della consultazione, inizialmente annunciata per l’inizio di ottobre, danza da settimane tra ipotesi di rinvio a dicembre, slittamenti «tecnici» a fine ottobre o a novembre, e timori di una sconfitta tuttora imprevedibile.
La prospettiva di ritrovarsi con Palazzo Chigi delegittimato mentre si deve ancora approvare la legge di Stabilità dà un po’ i brividi. E il premier comincia a lanciare ami per sondare le reazioni qualora fosse battuto e dovesse onorare la promessa di ritirarsi dalla politica. Negli ultimi giorni i suoi toni sono diventati più ragionevoli, e comunque meno perentori. Renzi ha fatto filtrare l’indiscrezione secondo la quale si dimetterebbe dalla presidenza del Consiglio ma non da segretario del Pd: e sarebbe una novità non da poco.
Non solo: dalla sua cerchia affiorano larvate minacce di voto anticipato in caso di vittoria del «no» al referendum: senza tenere conto che nella Costituzione ancora vigente è il presidente della Repubblica a decidere se sia opportuno o no sciogliere le Camere. Tanto più se ci si ritrovasse con una riforma costituzionale e elettorale sconfessate e tali da fare aumentare l’ingovernabilità. In realtà, dopo il flop nelle grandi città sembra tutto in alto mare. La fioritura di ipotesi nebulose sul «dopo Renzi» dice due cose: la prima è che l’esecutivo appare sempre più logorato e in bilico, e non solo per le inchieste della magistratura. La seconda è che è ancora difficile vedere chi e cosa possa emergere in alternativa. Per adesso si vede solo l’avanzata trionfante e scomposta di un Movimento 5 Stelle che celebra l’inizio della«nuova era» in Campidoglio insediando la sindaca Virginia Raggi: cerimonia nella quale la presenza del figlio bambino e il parterre occupato dai parlamentari di Beppe Grillo, quasi un «commissariamento collettivo» della giunta, ha conferito alla scena un tocco surreale.