Repubblica 8.7.16
Il mondo del bene e il mondo del male
di Emanuela Audisio
E
GIÀ, è un ultrà e questo sembra spiegare tutto. Ci rasserena, il male
ha un’etichetta. Un pazzo, un balordo, un violento di 39 anni. Un
razzista da quattro soldi. Già sottoposto a quattro anni di Daspo. Calci
e pugni. Malacarne. Uno di destra, uno che picchiava per la Fermana,
curva «Duomo», bassa manovalanza, da serie D, piccola provincia, ma
centro storico bellissimo.
LE MARCHE operose, contadine, solidali,
il settore calzaturiero che fa bello il mondo. Tomaie, cultura, e siepi
leopoardiane. Un infinito calmo, lontano dalla metropoli. Fermo che si
affaccia sull’Adriatico. Non banlieue, non periferia, non una Molenbeek
di casa nostra, ma al contrario città raffinata e di vescovi,
trentasettemila anime tra Macerata e Ascoli Piceno. Le poesie operaie di
Luigi Di Ruscio, autodidatta emigrato in Norvegia, le parole dello
scrittore di Angelo Ferracuti sull’Italia dei portalettere, gli studi
storici di Ruggiero Romano, le fotografie piene di libertà di Mario
Dondero. Non è mai stata ferma, Fermo. Ha pensato, coltivato, lavorato.
Molta della sua cultura è finanziata da chi fa scarpe. Ma ormai è come
se l’Italia, anche quella dei piccoli borghi, avesse un cuore nero
nascosto perfino a se stessa. Un cuore pauroso (della solidarietà) e
impaurito (da una convivenza a spicchi). Si può lasciare solo alle
parrocchie o a certe istituzioni il peso di cementare una sofferta
convivenza che va affermata e conquistata ogni giorno?
Don Vinicio
Albanesi dice che il suo centro che aiuta poveri, immigrati e profughi è
malvisto, che la violenza che ha ucciso Emmanuel è la stessa che piazza
bombette davanti alle chiese. Possibile che a Fermo nessuno si sia
accorto di questa onda anomala che diventava tsunami? Possibile che si
chiudano sempre gli occhi davanti a quello che ora viene chiamato «lo
scemo del villaggio»? E se gli scemi diventassero un branco? Capita
sempre più spesso, è capitato a San Benedetto che una banda di giovani
abbia costretto un ragazzo nero a leggere il Vangelo. Come se il
terrorismo abbia generato non risposte, ma ricerca di nuove vittime.
Gli
ultrà, si sa, ormai sono una categoria. Senza tetto, né legge.
Soprattutto ignorante, prepotenti senza una causa, che trovano la scusa
del calcio. Mancini è un omone, si sarà divertito a picchiare e a
insultare, sai che gusto urlare scimmia africana a una donna che ha
perso due figli, che è quasi morta per un’emorragia sul barcone, che è
sfuggita all’estremismo islamico, pagando carissimo ogni metro di
deserto, di mare e di sogno. Che ti aspetti da un ultrà, sembra volere
suggerire la parola? Anzi, il fatto che il cattivo abbia un’appartenenza
ci fa sentire tutti cittadini migliori. Non è uno di noi, normale, ma
un cretino che usa la passiona popolare per lucidare il suo bullismo
ritardato, un cattivo a chilometro zero cresciuto nelle pieghe di uno
sport che non dà passaporti, ma accoglie e sfama tutti, nell’illusione
di essere una buona patria. E permette di farsi agitatori di uomini e
bandiere, di avere idee aberranti e di metterle in pratica, con la
normalità che ha sempre il male quando si declina. Confondendosi e
confondendoci. Ma perché, viene da chiedersi, un violento da stadio, lo è
solo per lo stadio e non per la società intera? Forse che lo stadio è
una zona franca? Forse che svastiche, le botte e gli insulti che si
danno in curva sono un buon valore fuori dallo stadio?
E non è
ultrà una società che non permette la donazione di organi perché, dopo
essere fuggiti ad una guerra, non si è sposati legalmente? Fermo segnala
che c’è stata una saldatura tra rabbie e silenzi differenti, tra
istanze lontane, con una base comune di odio verso l’altro, indistinto,
nero, musulmano, cinese, zingaro, diverso. E fare l’ultrà che malmena e
massacra è la risposta.