Repubblica 7.7.16
Paure e certezze, così Siena fa la fila allo sportello
Nessun panico in città: “la banca non ce l’ha portata via nemmeno Mussolini”. ma aumenta chi chiede rassicurazioni
Solo qualcuno a mezza voce confessa di pensare a trasferire il conto da un’altra parte
di Walter Galbiati
SIENA.
«Tra palazzo dei Diavoli e lo Sclavo c’è un pezzo di terra che non
coltiva nessuno. Ecco, dovrebbero andare lì». Con gli occhi seminascosti
da un cappello con visiera fluo, Virgilio ha finito la sua coda con
pazienza, immerso in un rito che si ripete da decenni. Ha settant’anni,
fa l’artigiano del legno da quando ha finito la quinta elementare. E ha
perso più di un migliaio di euro in azioni della Monte dei Paschi di
Siena, la sua banca da sempre. L’invito è rivolto ai dipendenti. Ce l’ha
con chi perde tempo, con chi lavora poco eppure guadagna, mentre lui ha
passato la vita a levigare e restaurare mobili dalla mattina alla sera.
«Fallire? Ma va. Il Monte non ce lo ha portato via nemmeno Mussolini».
Nella
filiale di Piazza Salimbeni, sede centrale dell’istituto di credito
toscano, il viavai di clienti è continuo nonostante sia luglio. E come
Virgilio, sono tutti in coda per le operazioni di sportello, dove si
alternano paure e certezze. Alberto, farmacista in pensione, non ha
titoli. Solo qualche investimento: «Ma non ci sono rischi, sono sicuro»,
spiega convinto. Poco distante c’è Serena, insieme al figlio e a un
bassotto al guinzaglio disteso sul pavimento. Anche lei si dice
tranquilla. Ma bastano due chiacchiere in più perché confessi, quasi a
mezza voce: «In effetti stiamo valutando l’idea di tenere o meno il
conto in banca». In città, tuttavia, aria di fuga dagli sportelli non
c’è. La gente si fida ancora del Monte: «Mio marito ci lavora, mi
tranquillizza», spiega Anna dentro la filiale. Ma fuori la voce di uno
spazzino se la prende con la dirigenza: «Lavoravo lì, mi hanno lasciato a
casa».
Nelle
altre città toscane i sentimenti sembrano diversi. «Ogni volta che
succede qualcosa, e questa è la terza in tre anni, passiamo la giornata a
tranquillizzare i clienti allo sportello», confida al telefono un
dipendente di una filiale fiorentina. Da novembre, quando è stata resa
nota la ristrutturazione di Banca Etruria, secondo stime (non ufficiali)
50 miliardi di euro di liquidità sarebbero passati dagli istituti più
traballanti a quelli più solidi. «Non si fidano più di noi – racconta un
altro - e preferiscono vendere tutto piuttosto che non dormire la
notte». Nella voglia di abbandonare la nave, si smobilita qualunque
investimento: dai titoli del Monte ai fondi JpMorgan e Anima, perfino le
polizze Axa.
A
Siena è tutto più ovattato. «Due o tre persone, massimo quattro hanno
chiesto informazioni, non di più», assicurano. «La filiale è un luogo di
protezione » recita un manifesto in sala d’attesa. E parlando con chi
ci lavora trapela la sensazione che tra i senesi non siano poi stati
venduti tanti bond subordinati in stile Etruria. Il più pericoloso è
stato emesso per comprare Antonveneta: 2,1 miliardi che si potevano
comprare allo sportello con soli mille euro. Le obbligazioni scadranno
tra due anni. Ma nei portafogli dei clienti dell’agenzia numero uno non
sembrano essercene.