giovedì 7 luglio 2016

Repubblica 7.7.16
Ossessione Cina le bimbe soldato della ginnastica
Ore di duri allenamenti e disciplina: così nelle palestre del paese le piccole sportive vengono allenate per vincere le Olimpiadi del futuro
Non ci sono sorrisi in queste baby atlete, obbediscono ad adulti chiamati a farle diventare campionesse
di Aligi Pontani

Ore di dura fatica, durante le quali scorrono anche lacrime di stanchezza o delusione. Saranno future medaglie per il loro Paese, ma ora sono piccoli atleti che già in tenera età devono ritagliarsi uno spazio nello sport, con costanza e sofferenza, inseguendo il sogno del successo attraverso una “ ginnastica felice”, come la chiamano, a torto o a ragione, i loro insegnanti
Il limite minimo di età per partecipare alle gare è di 16 anni Per arrivarci bisogna cominciare ad esercitarsi a tre, quattro. Grazie a questa strategia Pechino, che fino al 1984 non aveva mai vinto una medaglia, adesso può sfidare gli americani in tutte le discipline Ciò che a noi sembra tortura, per loro è un dovere: quattro-cinque ore al giorno, gli stessi esercizi ripetuti mille volte. I bimbi vengono reclutati per lo sport competitvo sin da quando hanno pochi anni Con una missione: vincere ai Giochi e dare gloria al Paese

NON ci sono sorrisi. Ma sarebbe sciocco guardare solo quella unica lacrima che scende, grande, troppo grande, enorme, mentre una mano asciuga le altre o forse le trattiene. Cosa pensano queste bambine mentre squadrano minuscole gambe già perfette? Cosa temono mentre l’istruttore indica con la bacchetta di bambù il punto esatto dove farle arrivare? Cosa sentono, aggrappate a testa in giù alla sbarra, a un’altezza per loro vertiginosa? Si divertono? Giocano? Soffrono? Oppure, semplicemente, obbediscono agli adulti chiamati a farle diventare campionesse?
La felicità e l’infelicità dei bambini abitano in luoghi troppo impervi per i grandi, che non ci arrivano quasi mai. Il disagio dà l’illusione di essere più facile da capire: si intravede nel fondo degli occhi, nelle labbra piegate all’ingiù, nel respiro affannato. Il respiro che non si sente, eppure sembra di vederlo, nelle immagini del piccolo esercito di aspiranti campioni cinesi in missione per conto dello Stato. Sono decine di migliaia i bambini selezionati per lo sport competitivo, fin da piccolissimi. Tre, quattro anni. Non c’è spazio per molto altro nelle loro vite: scuola, sport, sport, scuola. Crescono così, addestrandosi. Nessun occidentale, neppure chi periodicamente riesce a penetrare nelle accademie del paese, riesce a capire cosa consenta loro di resistere. Ciò che a noi sembra tortura, per loro è dovere: quattro, cinque ore al giorno, sempre uguali. Esercizi ripetuti dieci, cento, mille, diecimila volte. Non solo nella ginnastica: scherma, tuffi, tiri con l’arco, la pistola e il fucile, evoluzioni in piscina, tennistavolo, badminton: dove c’è ripetitività del gesto, i cinesi saranno i migliori, quelli da battere, i robot. Nessuno come loro impara così bene e così precocemente l’automatismo del gesto, che in alcune discipline significa perfezione. Nessuno come loro sa che il paese li guarda, e li aspetta con l’oro.
Grazie a questo la Cina, che fino al 1984 non aveva vinto una medaglia olimpica, adesso sfida gli americani, già sorpassati come numero di ori nel 2008 a Pechino, 51 a 36. Per questo, però, ogni quattro anni l’Occidente si ricorda che i cinesi sono così, nello sport: addestrano bambini con quella che ai nostri occhi è pura ferocia, un rigore crudele come quella lacrima gigantesca. Durante le Olimpiadi di Londra, nel 2012, il Daily Mail pubblicò le foto del “lager di Nanning”, le cui stanze piene di baby forzati dello sport erano foderate con la scritta “Gold”, per chiarire la missione o meglio l’ossessione. Una ragazzina di neppure 16 anni, Ye Shiwen, aveva appena disintegrato il record del mondo dei 400 misti, la specialità più dura del nuoto. Il mondo gridò allo scandalo, al doping, alla follia. Chissà, forse invece era solo addestramento, come per le minuscole ginnaste di queste foto. Per loro è solo questione di tempo: la ginnastica ha fissato a 16 anni il limite minimo per partecipare ai Giochi, dopo l’intollerabile corsa alla bambina scatenata dalle meraviglie della quattordicenne rumena Nadia Comaneci a Montreal ’76. Ma per arrivare a 16 anni sicuri di vincere, bisogna cominciare a tre, quattro, cinque. Bisogna guardare i maestri, ascoltarli, e ripetere, ripetere, ripetere. Bisogna guardare con occhi fondi, neri, lucidi. Incomprensibili, ma forse solo per noi.