giovedì 7 luglio 2016

Repubblica 7.7.16
Il teologo che in silenzio fa la rivoluzione
Un libro raccoglie le conferenze del domenicano Timothy Radcliffe vicino alla Chiesa di papa Francesco
Attacca i fondamentalismi di tutte le appartenenze Apre il suo testo citando non Gesù, ma Naomi Klein
di Alberto Melloni

Fra le due guerre mondiali del Novecento è accaduto qualcosa di imprevedibile nel cattolicesimo. La Chiesa di Roma portava in sé istanze integriste. Più datate, ma non dissimili da quelle che percorrevano alla stessa altezza cronologica i battisti americani, che si erano dati il nome di “fondamentalisti”, o gli islam d’Arabia, presi fra l’utopia politica dei fratelli musulmani e la fondazione del nuovo regno wahabita. Nel cattolicesimo l’intransigentismo aveva in mano tutte le leve del potere ecclesiastico. Eppure si trovò davanti una generazione di teologi, capaci di scoprire nella storia la chiave dei modi d’essere dimenticati. Chenu, Congar, De Lubac, Danielou, von Baltahasar, Grillmeier, delegittimavano
l’idea d’un cristianesimo monolitico, pago di resistere immobile ai flutti. La pagarono. E se fecero teologia in ginocchio o in piedi, fu perché gli tolsero la seggiola, anche se alcuni li fecero cardinali in età premortuaria. Come la condanna del “modernismo” a inizio secolo aveva decerebrato il cattolicesimo rendendolo cieco davanti ai fascismi, la persecuzione della “nouvelle théologie” avrebbe potuto consegnare la Chiesa di Roma a processi involutivi dagli esiti impensabili. Se questo non accadde fu per la loro capacità di (non) attendere ciò che tardava e che apparve all’improvviso: papa Giovanni, il concilio. Anziché sperare riabilitazioni o pietire risarcimenti, accumularono una intelligenza che non si inaridì nella rampogna e generarono l’eredità intellettuale che fecondò il Vaticano II. Quella eredità si è prolungata e di essa fa parte Timothy Radcliffe. Un domenicano che è stato discepolo di Chenu, poi maestro generale dell’ordine dal 1992 al 2001, per tornare infine a fare il frate ad Oxford, con naturalezza. Radcliffe è un uomo coraggioso. Quando dire quel che oggi dice il Papa sui gay significava dare un calcio al cappello cardinalizio e alla carriera ecclesiastica, Radcliffe prendeva posizione, senza tormento, senza rimpianti. E anche adesso, quando una sua conferenza viene interrotta da un gruppo di zeloti armati di rosario per togliergli la parola, quando suoi confratelli deprecano il neo-ritualismo azzimato di tanti giovani preti e frati, non si amareggia: e continua il suo lavoro di decostruttore delle caricature sul cristianesimo.
Ne fanno parte le conferenze raccolte nel volume Il bordo del mistero (Emi). A chi si aspetta che l’ex maestro generale apra un libro citando il Papa o san Tommaso o almeno Gesù, offre come inizio Naomi Klein -- femminista, ebrea e laica. A chi pensa che un domenicano debba avere un minimo complesso di colpa davanti agli albigesi (gli eretici sterminati nella crociata di inizio Duecento), spiega che i frati predicatori devono continuare a combattere il disprezzo del corpo e della gioia, che ancora tentano il cristianesimo e la cultura secolare odierne. A chi pregusta un uso vendicativo o corporativo del registro autobiografico, offre solo episodi utili a testimoniare che la fede cristiana può (niente più di questo: può) liberare dalla prigione dell’io insaziabile. E mostra la sua allegra libertà interiore quando confessa che secondo lui la gente vede la Chiesa come un gruppo di «uomini anziani vestiti in modo strano che dicono alla gente come si deve comportare a letto». Lo stile di Radcliffe è leggero, le citazioni vezzose, le questioni bibliche e teologiche ridotte al minimo sindacale. Eppure nemmeno questi suoi interventi appartengono alla insopportabile serie di piissimi libroidi, fatti di poltiglia spiritualistica. Quelli che predicano la gioia obbligatoria del “Gesù ti ama” (che Radcliffe definisce deprimente) e denunciano pensosi il “vuoto” dei giovani. No, Radcliffe è diverso: pone con grazia “la” questione. Che non è specificamente religiosa. Nella modernità globale, infatti, i fondamentalismi come ricerca di una piccola patria, come adesione ad una cerchia di follower, sono l’unica cosa comune a tutte le appartenenze: c’è un fondamentalismo scientifico, un fondamentalismo del mercato, molti fondamentalismi religiosi: dunque «siamo afflitti da diversi modi di pensare riduzionistici, che offrono chiavi semplicistiche per comprendere la realtà».
Già, la realtà: qual è la realtà del cristianesimo? Dopo un cattolicesimo pago delle sue condanne e uno pago del suo concilio, dopo un cattolicesimo reclamizzato come una pastiglia di “senso” da prendere dopo i pasti, uno specializzato in disgrazie, qual è il futuro della chiesa? Federare gusti smussandone i conflitti? O attendere che un Papa – caso mai il “Papa giovane” dipinto da Paolo Sorrentino – cacci via quel che non gli piace, a costo di cacciar via tutti? Diventare una Chiesa low cost che si bea di apocalittica? O deve rassegnarsi a fare da ruota di scorta ad identità politiche reazionarie e fragili, indotte a disprezzare lo straniero e difendere il presepio? Per Radcliffe le fedi hanno un’altra funzione: quella di raccontare un tempo lungo in cui non accade nulla e in cui la gioia è silenziosa: «io penso che al cuore del cristianesimo ci sia una gioia tranquilla, abbastanza profonda da abbracciare anche i momenti di sofferenza e di oscurità. È una gioia che è frutto dell’intensa preghiera e del silenzio». Perché solo l’impotenza di una domanda consente di sfiorare il bordo del mistero, lasciando che il vuoto non si riempia di banalità sentimentali e alterigia teologica perdendo la sua caratteristica più preziosa.
IL LIBRO Il bordo del mistero di Timothy Radcliffe ( Emi trad. di Mario Mansuelli pagg. 142 euro 14)