Corriere 7.7.16
Il
cardinale Christoph Schönborn interviene sul significato
dell’Esortazione papale Amoris laetitia , scritta dopo i due Sinodi
sulla famiglia:
«Il Papa va oltre le categorie di coppie regolari e irregolari guardando alle persone»
«Coppie irregolari vale la persona»
di Antonio Spadaro
Il
cardinale Christoph Schönborn interviene sul significato
dell’Esortazione papale Amoris laetitia , scritta dopo i due Sinodi
sulla famiglia: «Supera le categorie di “regolare” e “irregolare”».
Alcuni
hanno parlato di «Amoris laetitia» come di un documento minore, quasi
di un’opinione personale del Pontefice senza pieno valore magisteriale.
Che valore ha questa Esortazione? È un atto del magistero?
«È
evidente che si tratta di un atto di magistero! È una Esortazione
apostolica. È chiaro che il Papa qui esercita il suo ruolo di pastore,
di maestro e dottore della fede, dopo avere beneficiato della
consultazione dei due Sinodi. Penso che, senza dubbio alcuno, si debba
parlare di un documento pontificio di grande qualità, di un’autentica
lezione di sacra doctrina , che ci riconduce all’attualità della Parola
di Dio. Amoris laetitia è un atto del magistero che rende attuale nel
tempo presente l’insegnamento della Chiesa. Così come noi leggiamo il
Concilio di Nicea alla luce del Concilio di Costantinopoli, e il
Vaticano I alla luce del Vaticano II, così ora dobbiamo leggere i
precedenti interventi del magistero sulla famiglia alla luce del suo
contributo. Siamo portati in modo vitale a distinguere la continuità dei
princìpi della dottrina nelle discontinuità di prospettive o di
espressioni storicamente condizionate. È la funzione propria del
magistero vivente: interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta
o trasmessa».
Sono
incuriosito dal fatto che il Papa parli delle situazioni irregolari
mettendo l’aggettivo tra virgolette e facendolo precedere
dall’espressione «cosiddette». Secondo Lei, questo ha un significato
particolare?
«Il
fatto rilevante di questo documento è che esso supera le categorie di
“regolare” e “irregolare”. Non ci sono, in modo semplicistico, da un
lato i matrimoni e le famiglie che funzionano, che vanno bene, mentre le
altre non vanno bene. Francesco parla di questa realtà che riguarda
tutti: siamo viatores , siamo in cammino. Siamo tutti soggetti al
peccato e tutti abbiamo bisogno della misericordia. [...] Francesco non
nega che ci siano situazioni regolari o irregolari, ma va al di là di
questa prospettiva per mettere in pratica il Vangelo: chi tra voi non ha
mai peccato scagli la prima pietra».
Il
Pontefice, ascoltando i Padri sinodali, ha preso coscienza del fatto
che non si può più parlare di una categoria astratta di persone, né
racchiudere la prassi dell’integrazione in una regola del tutto
generale.
«Sul
piano dei princìpi, la dottrina del matrimonio e dei sacramenti è
chiara. Papa Francesco l’ha nuovamente espressa con chiarezza
comunicativa. Sul piano della disciplina, il Pontefice tiene conto
dell’innumerevole varietà di situazioni concrete e ha affermato che non
ci si doveva aspettare una nuova normativa generale di tipo canonico,
applicabile a tutti i casi. Sul piano della pratica, di fronte a
situazioni difficili e famiglie ferite, il Santo Padre ha scritto che è
possibile solo un nuovo incoraggiamento a un responsabile discernimento
personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere
che, “poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le
conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono
essere sempre gli stessi”».
Ma questo orientamento era del resto già contenuto in qualche modo anche nel paragrafo 84 della «Familiaris consortio»...
«Infatti,
san Giovanni Paolo II distingueva alcune situazioni. Per lui, c’è
differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo
matrimonio e sono stati abbandonati ingiustamente, e coloro che invece
hanno distrutto con colpa grave un matrimonio canonicamente valido. Poi
ha parlato di coloro che hanno contratto una seconda unione in vista
dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in
coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non
era mai stato valido. Ognuno di questi casi, dunque, costituisce
l’oggetto di una validazione morale differenziata. Apriva dunque la
porta a una comprensione più ampia passando per il discernimento delle
differenti situazioni che non sono oggettivamente identiche, e grazie
alla considerazione del foro interno».
Mi sembra dunque che questa tappa rappresenti un’evoluzione nella comprensione della dottrina…
«Francesco
ha fatto un passo importante obbligandoci a chiarire qualcosa che era
rimasto implicito nella Familiaris consortio , sul legame tra
l’oggettività di una situazione di peccato e la vita di grazia di fronte
a Dio e alla sua Chiesa e, come logica conseguenza, l’imputabilità
concreta del peccato. Il cardinal Ratzinger ce lo aveva spiegato negli
anni Novanta: non si parla più automaticamente di situazione di peccato
mortale in casi di nuova unione. Mi ricordo che nel 1994, quando la
Congregazione per la Dottrina della Fede aveva pubblicato il suo
documento sui divorziati risposati, avevo domandato al cardinal
Ratzinger: “Forse che la vecchia prassi data per scontata e che ho
conosciuto prima del Concilio, quella di vedere in foro interno con il
proprio confessore la possibilità di ricevere i sacramenti a condizione
di non creare scandalo, è sempre valida?”. La sua risposta fu molto
chiara, come le affermazioni di Papa Francesco: non esiste una norma
generale che possa coprire tutti i casi particolari. Tanto è chiara la
norma generale, quanto è chiaro che essa non può coprire tutti i casi in
modo esaustivo».
Il
Papa afferma che «in certi casi», quando ci si trova in una situazione
oggettiva di peccato — ma senza essere soggettivamente colpevoli o senza
esserlo interamente —, è possibile vivere nella grazia di Dio. C’è una
rottura con ciò che è stato affermato in passato?
«Il
Papa ci invita a non guardare soltanto le condizioni esteriori, che
hanno la loro importanza, ma a domandarci se abbiamo sete di perdono
misericordioso, allo scopo di rispondere meglio al dinamismo
santificatore della grazia. Il passaggio tra la regola generale e i
“certi casi” non si può fare solo attraverso considerazioni di
situazioni formali. È possibile dunque che, in certi casi, colui che è
in una situazione oggettiva di peccato possa ricevere l’aiuto dei
sacramenti».
Che cosa vuol dire «in certi casi»? Qualcuno si chiede perché non farne una sorta di inventario...
«Perché
altrimenti il rischio è quello di cadere nella casistica astratta e,
cosa più grave, creiamo — anche attraverso una norma d’eccezione — un
diritto a ricevere l’Eucaristia in situazione oggettiva di peccato. Qui
mi sembra che il Papa ci metta di fronte all’obbligo, per amore della
verità, di discernere i casi singoli in foro interno come in foro
esterno».
Mi
faccia capire: qui Francesco parla di una «situazione oggettiva di
peccato». Quindi, ovviamente non si riferisce a coloro che hanno
ricevuto una dichiarazione di nullità del primo matrimonio e si sono
sposati, né a coloro che riescono a soddisfare l’esigenza di vivere come
«fratello e sorella». Il Pontefice qui si riferisce dunque a coloro che
non riescono a realizzare oggettivamente la nostra concezione del
matrimonio, a trasformare il loro modo di vita secondo quella esigenza?
«Sì,
certamente! Nella sua grande esperienza di accompagnamento spirituale,
quando il Santo Padre parla delle “situazioni oggettive di peccato”, non
si accontenta dei casi di specie distinte nella Familiaris consortio ,
ma si riferisce in modo più esteso a coloro “che non realizzano
oggettivamente la nostra concezione del matrimonio” e la cui “coscienza
dev’essere meglio coinvolta”, “a partire dal riconoscimento del peso dei
condizionamenti concreti”» .
Lo sguardo così aperto alla realtà, e dunque alla fragilità, può nuocere alla forza della dottrina?
«Assolutamente
no. La grande sfida del Papa è proprio quella di dimostrare che questo
sguardo capace di apprezzare, permeato di benevolenza e di fiducia, non
nuoce affatto alla forza della dottrina, ma fa parte della sua colonna
vertebrale. Francesco percepisce la dottrina come l’oggi della Parola di
Dio, Verbo incarnato nella nostra storia, e la comunica ascoltando le
domande che si pongono nel cammino. Rifiuta invece lo sguardo di
ripiegamento su enunciazioni astratte, separate dal soggetto che vive
testimoniando l’incontro con il Signore che cambia la vita. Lo sguardo
astratto di tipo dottrinario addomestica alcune enunciazioni per imporre
la loro generalizzazione a una élite, dimenticando che chiudere gli
occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio, come
disse Benedetto XVI nella Deus caritas est».