Repubblica 7.7.16
Un’antica verità e la condanna di Bush
di Bernardo Valli
L’irresponsabilità più grave è stata quella di dichiarare anzi tempo la vittoria
Le proteste ieri davanti all’abitazione di Tony Blair. Il cartello recita: “Blair deve essere processato per crimini di guerra”
CI
SONO voluti 7 anni, 12 volumi, più di 2 milioni e mezzo di parole,
quante ne ha scritte Tolstoj in Guerra e Pace (ha calcolato il New York
Times), per stabilire, infine, che l’invasione dell’Iraq voluta da Bush
Jr, con Tony Blair al suo fianco, era non solo inutile, ma anche
disastrosa. La titanica fatica della commissione presieduta, a Londra,
da John Chilcot ha condotto a una verità già nota dal 2003, quando
cominciò il conflitto.
AVEVA
tuttavia bisogno di una conferma solenne. La quale assomiglia a una
sentenza, benché non preveda alcun processo per “crimine di guerra” a
carico dell’inquisito Blair, come chiedevano ieri i manifestanti
londinesi. La commissione Chilcot non aveva poteri giudiziari. E del
resto Blair ebbe l’autorizzazione del Parlamento, sia pur strappata con
quella che si può chiamare una menzogna. La questione delle
responsabilità penali è affiorata sempre ieri per iniziativa dei
familiari dei morti. Che furono duecento britannici (di cui
centosettantanove militari), quattromila cinquecento americani e più di
140mila iracheni. Limitando il bilancio alla prima fase della guerra.
Ai
Comuni, dove non è stato tenero con il suo predecessore alla testa del
Labour, Jeremy Corbyn ha chiesto scusa a nome del suo partito per
«l’aggressione militare basata su un falso pretesto». E ha parlato di
«violazione della legge internazionale», da parte di un primo ministro
laburista, quel era all’epoca Blair. Il rapporto Chilcot equivale a una
condanna politica e morale per quanto riguarda l’inquisito britannico, e
in modo indiretto la stessa condanna vale anche per George W. Bush. Del
quale, si disse allora che l’obbediente Tony Blair fosse il
“barboncino”.
Il
risultato della commissione britannica non arriva con tredici anni di
ritardo rispetto alla guerra del 2003. Il conflitto è ancora in corso.
La mischia nella valle del Tigri e dell’Eufrate ne è la conseguenza. Il
detonatore di quel che accade oggi, terrorismo compreso, è stata
l’invasione di allora. La situazione era pronta per un’esplosione. È
vero. La guerra nell’Afghanistan, occupato dai sovietici, aveva
rafforzato il jihadismo di Al Qaeda, irrobustitosi con il decisivo aiuto
americano. Nella guerra fredda l’Islam servì agli Stati Uniti come arma
contro l’Urss. E il lungo conflitto, durante quasi tutto il decennio
degli ottanta, tra l’Iraq di Saddam Hussein, a forte governo sunnita, e
l’Iran sciita di Khomeini, aveva risvegliato la tenzone tra le due
grandi correnti dell’Islam adesso in aperto confronto.
Nonostante
gli avvertimenti insistenti di esperti e diplomatici, la coppia
Bush-Blair si è inoltrata nel Medio Oriente incandescente dichiarando di
volervi portare la democrazia e al tempo stesso annientare le armi di
distruzione di massa, non meglio precisate se chimiche o nucleari, ma
delle quali non c’era prova. E che comunque si rivelarono immaginarie.
Noi cronisti, a Bagdad, la prima notte dei bombardamenti, indossammo le
tute e le maschere che avrebbero dovuto proteggerci dall’iprite e da non
so quale altro veleno. Dopo qualche ora ci liberammo di tutto,
accorgendoci che tra i tanti pericoli che ci attendevano non c’erano
quelli propagandati dagli invasori in arrivo. L’uso dei gas nella
sterminata e popolata Bagdad sarebbe equivalso a un auto-olocausto.
La
commissione di inchiesta accusa Blair, e di riflesso Bush jr, di non
avere approfittato di tutte le opzioni pacifiche a disposizione per
arrivare a un disarmo concordato. È un appunto di rilievo perché Blair
rivendica il fatto di avere comunque contribuito ad abbattere un
dittatore feroce qual era Saddam Hussein. Gli inquirenti, in sostanza,
sostengono che restasse uno spazio per trattare con il rais di Bagdad,
considerato tra l’altro, quando era in guerra con l’Iran, un alleato
obiettivo.
L’irresponsabilità
più grave denunciata da John Chilcot è quella dimostrata nella prima
fase del dopo guerra, quando gli occidentali Bush e Blair proclamano
anzi tempo la vittoria. L’ignoranza è sottolineata più volte. Il
saccheggio delle città da parte della popolazione, sia a Bagdad dove
c’erano gli americani, sia a Bassora dove c’erano i britannici, toglie
ogni fiducia negli invasori stranieri. I quali risultano incapaci di
garantire la sicurezza. L’esercito nazionale viene sciolto, ma non
disarmato. Il partito Baath, funzionante da Stato, è subito disperso e i
suoi dirigenti imprigionati e privati dei loro beni. Giusta punizione
ma il paese resta senza un’amministrazione. I militari sunniti si danno
alla macchia con ufficiali e cannoni, presto raggiunti dai jihadisti
provenienti da tutti i paesi arabi. I saddamisti laici si alleano con i
salafiti. Gli americani e gli inglesi hanno offerto un campo di
battaglia su cui affrontarli. Le milizie sciite, emerse dopo una lunga
sottomissione alla minoranza sunnita, sfidano spesso gli occupanti. Che
non considerano liberatori perché hanno cacciato il dittatore che li
opprimeva, ma invasori. L’impatto dell’intervento occidentale sgretola i
fragili confini disegnati sulle rovine dell’impero ottomano alla fine
della Grande Guerra. Nel 1918. I paesi del Medio Oriente si
decompongono. Prima l’Iraq poi la Siria. Nel frattempo le primavere
arabe mettono in crisi i regimi dei rais che funzionavano da gendarmi.
L’intervento americano con l’appoggio britannico spezza gli equilibri
regionali. Il rapporto Chilcot, nei suoi dodici volumi, non è soltanto
un atto d’accusa sul piano politico e morale, ma l’analisi sul come si è
giunti al conflitto medio orientale di oggi. Bush jr e l’amico Blair
hanno ignorato la Storia.