il manifesto 7.7.16
Blair, un criminale di guerra
di Alessandro Dal Lago
Il
referendum sul Brexit ha avuto tra gli effetti più notevoli il
discredito di gran parte del ceto politico inglese. Ora, il rapporto
Chilcot dà una mazzata ulteriore alla credibilità di quella che un tempo
era chiamata la «terza via», cioè la politica di destra travestita da
modernizzazione della sinistra, identificata da sempre in Tony Blair (e
ora rivendicata, ma anche in questo caso con scarso successo, da Matteo
Renzi, che comincia a essere abbandonato da una destra che vedeva in lui
il vero erede di Berlusconi).
Ciò
che emerge dal rapporto va persino al di là delle menzogne raccontate a
suo tempo da Bush e Blair per giustificare la guerra in Iraq del 20013:
è la stupidità e l’incoscienza di un leader politico che, per piaggeria
verso gli americani o altri motivi inconfessabili, getta il suo paese
in un’avventura militare che ha prodotto direttamente o indirettamente,
la morte di centinaia di migliaia di persone, la destabilizzazione di
un’intera area, l’infuriare di un revanscismo islamista che ora si
abbatte sull’intero occidente. Le famiglie dei soldati inglesi caduti
sostengono che Blair è peggiore dei terroristi. Visto l’esito delle sue
iniziative militari, è difficile dar loro torto.
I
conservatori inglesi non hanno molto da gioire per il fango che ora
ricopre Blair. Infatti Cameron, il loro leader piccolo piccolo – anzi
minuscolo, visto l’esito del referendum sul Brexit – ha fatto
esattamente lo stesso in Libia, insieme a quell’altro bel tomo di
Sarkozy. Ecco due guerre, quella irachena e quella libica, non solo
criminali, come tutte le guerre, ma profondamente stupide, perché prive
di qualsiasi strategia e di una minima analisi delle conseguenze anche
per chi le avvia, e quindi autolesionistiche. L’evidente declino
dell’Inghilterra, una piccola potenza che si illudeva di essere la
stessa di un secolo fa, è iniziato nel 2003, proprio come il
ridimensionamento strategico degli Usa.
Blair,
secondo il rapporto Chilcot, avrebbe iniziato una guerra «avventata»
insieme a Bush (per non parlare di tutti quelli che si sono accodati,
come Berlusconi e Aznar). Ma la definizione è riduttiva. La guerra in
Iraq è stata un effetto dell’ideologia neo-conservatrice che si è
abbattuta dopo il 2001 sulle due sponde dell’Atlantico. Una corrente –
come rivendicavano Cheney e Rumsfeld e i loro consiglieri – che non è
mai stata interessata a fatti o obiettivi, ma a «valori», e cioè a
ossessioni come l’eliminazione di Saddam Hussein o la sconfitta
dell’Iran o altri stati «canaglia», ovvero ostili alla politica esterna
neo-conservatrice. Il risultato ovvio, ma già prevedibile nel 2003,
della fine di Saddam era il rafforzamento strategico dell’Iran, che oggi
controlla gran parte dell’Iraq, così come le guerra in Siria e in
Ucraina stanno portando al rafforzamento della Russia di Putin nel
Mediterraneo e in Asia minore.
Ma
dal rapporto Chilcot emerge indirettamente qualcosa di più grave e
decisivo che non l’avventatezza, l’ipocrisia o l’ottusità dei leader
americani e inglesi nel 2003 (e di gran parte dei loro successori).
Emerge soprattutto la facilità con cui i leader delle cosiddette
democrazie liberali possono prendere iniziative milutari, che comportano
disastri e sofferenze in tutto il mondo, per ragioni oggettivamente
miserabili: il sostegno alle aziende petrolifere o ai produttori di
armi, il finanziamento delle proprie campagne elettorali, beghe di
partito e così via. Niente di nuovo sotto il sole, ma oggi, quando il
battito d’ali di una farfalla può far crollare grattacieli dall’altra
parte del mondo, qualcosa di terrificante.