giovedì 7 luglio 2016

Repubblica 7.7.16
Ma gli anticorpi non ci sono
di Piero Colaprico

Anche Cosa nostra a Milano suda e va di fretta. Non è un caso che uno degli arrestati di ieri, Giuseppe Nastasi, andasse di persona a consegnare i tesserini magnetici, per poter entrare alla Fiera di Milano e di Rho, ai gruppi di lavoratori romeni in nero. La sottocategoria dei mafiosi-lavoratori qui è antica, per capirlo basta citare il capostipite, Joe Adonis: dichiarato negli States indesiderabile, ma sistemato nel ‘58 in un attico in via Albricci, a trecento passi dal Duomo. Era lui a lavorare di notte per mandare flipper e jukebox nei bar della Lombardia. Datato può sembrare anche l’arresto di Luciano Leggio detto Liggio, il capo di Totò Riina e Bernardo Provenzano: è avvenuto nel 1974 in via Ripamonti, unico caso di boss acchiappato lontano dalla Sicilia. A parte i suoi misteriosi investimenti, il numero uno dei corleonesi aveva una vineria in viale Umbria. E non erano stati la stessa Ilda Boccassini e il «capitano Ultimo», tra l’89 e il ’90, una a condurre l’inchiesta Duomo Connection e l’altro a piazzare le microspie in un cantiere? Allora si scoprì che a costruire le case, pagando come tutti la mazzetta alla politica, erano mafiosi dalle mani callose, tipiche di chi trasporta i mattoni sulla carriola. «Da manuale», ripeteva ieri il procuratore aggiunto antimafia. Da manuale il tipo d’infiltrazione scoperto, il modo di far sparire montagne di denaro evaso dal fisco, di aiutare i picciotti di Cosa nostra. Sì, ma «da manuale» è anche la perdita di memoria collettiva sul tema: dalla ‘ndrangheta alla camorra, da Cosa nostra agli stiddari, all’appello dei giudici non manca nessuno. Da anni. C’è una Milano, come dice Raffaele Cantone, che ha «gli anticorpi» per la corruzione: ma ce n’è un’altra che si ostina a non prenderli.