Repubblica 6.7.16
“Così quei sei anni di tagli hanno impoverito la scuola”
La
Corte dei conti sul periodo 2008-2014: insegnanti diminuiti del 9% e
stipendi da 1.300 euro al mese. Con la riforma l’inversione di rotta
di Corrado Zunino
ROMA.
La Corte dei conti parla molto di scuola, e in maniera dettagliata,
nell’ultima relazione sul pubblico impiego. Denuncia l’impoverimento
strutturale dell’Istruzione, almeno fino al 2014. Con un lavoro chiuso
lo scorso maggio, le sezioni riunite in sede di controllo hanno preso in
esame i sei anni della più grande crisi del dopoguerra, dal 2008 al
2014, sovrapponendoli nello specifico alle tre stagioni del “taglione”
da 8 miliardi alle scuole realizzato dai ministri Tremonti-Gelmini e
alle due legislature di ferrea austerity di Monti e Letta. Dice la Corte
dei conti: l’accorpamento delle scuole italiane ha tolto all’istruzione
un dirigente scolastico ogni tre, ora sono 7.440. Per risparmiare 63
milioni da questa voce, solo nel Lazio si sono perse 109 autonomie. In
tutto, da 50mila plessi scolastici ne sono rimasti 41 mila. «Novemila
edifici non sono più scuole», precisa il sindacato Anief. In quel
periodo — sei anni, appunto — sono usciti dalla scuola quasi centomila
dipendenti, mai sostituiti: l’8,1 per cento del totale. Gli insegnanti
in sei anni sono scesi del 9,2 per cento, i docenti di religione del
10,9. Sono invece cresciuti in maniera forte, sempre fino al 2014, gli
insegnanti di sostegno, nel tentativo di mettere rimedio a un ritardo
atavico: all’ultima data considerata erano 75.314, il 48 per cento in
più. E sono saliti — questo non si era mai detto — tecnici,
amministrativi e bidelli: del 12,2 per cento.
Il lavoro dei
giudici contabili presenta la questione scuola in un quadro generale che
consente di sfatare alcuni miti. Innanzitutto, quello della pletora di
dipendenti pubblici in Italia. I lavoratori del pubblico impiego
italiano sono 3 milioni e 340 mila. Un numero che rappresenta il 72 per
cento di quello dei dipendenti di Stato tedeschi, il 63 per cento di
quelli inglesi, il 60 per cento dei francesi. Solo la Spagna ne ha meno.
Sul
fronte dei tagli, poi, gli 8,7 miliardi sottratti al settore in Italia,
pari al 5,1 per cento del Pil, sono inferiori a quelli attuati nel
resto dell’Europa del Sud: l’8 per cento in Spagna, oltre il 16 per
cento in Portogallo, il 23 in Grecia.
Gli occupati della scuola
coprono la fetta più grande della Funzione pubblica italiana: il 32 per
cento. Tuttavia, nei sei anni horribiles il milione abbondante (in
discesa) dei dipendenti dell’Istruzione ha visto la sua retribuzione in
calo rispetto al costo della vita. Significativamente. La spesa generale
per gli stipendi è scesa del 16 per cento, da 33,5 a 28,2 miliardi. La
busta paga media di un insegnante con dieci anni di anzianità, nel 2014,
era di 1.280 euro il mese. Metà di quella un preside, un sesto di
quella di un dirigente statale di primo livello. Gli stipendi di
amministrativi, tecnici e ausiliari, poi, sono da soglia di povertà:
22.000 euro lordi all’anno.
In un passaggio, la Relazione 2016
riconosce che, nel novembre scorso, la Buona scuola ha immesso in
cattedra 47mila nuovi docenti «in relazione alla creazione dell’organico
dell’autonomia scolastica», invertendo sì la tendenza del taglio sul
personale, «ma non riuscendo a sanare le limitazioni di organico
determinate nei sei anni precedenti».