Repubblica 6.7.16
Il mantra della governabilità
di Piero Ignazi
PERCHÉ
Matteo Renzi è tanto affezionato al sistema elettorale dell’Italicum? È
strano che anche un leader giovane e dinamico come il segretario del Pd
non colga lo spirito dei tempi e resti affezionato a problemi inattuali
della politica come la governabilità. Questione importante, certo, ma
oggi passa in secondo piano rispetto al problema della “rispondenza” tra
eletti ed elettori, drammaticamente sollevato dall’ondata
dell’antipolitica.
Il mantra della governabilità venne invocato
con forza da Bettino Craxi alla fine degli anni Settanta, ed era
sostenuto da chi vedeva cadere i governi come i birilli dopo nemmeno un
anno, ed assisteva al rinvio alle calende greche di tante riforme
necessarie. Sacrosanta quindi l’esigenza di far funzionare meglio le
istituzioni. Ma non si mosse foglia.
In seguito, all’epoca del
crollo dei partiti tradizionali, nel 1993-94, lo strumento principe per
risolvere l’impasse del sistema politico fu individuato in un nuovo
sistema elettorale maggioritario ad un turno, il Mattarellum. Solo che
quel sistema era corretto da un bel 25% di proporzionale, e proprio per
questa contraddizione interna non ha prodotto i frutti sperati.
Il
governo attuale ha imboccato la strada di un’ampia, e disordinata,
riforma costituzionale, integrata da una nuova legge elettorale. La
prima potrà solo essere approvata o cancellata in toto dal prossimo
referendum confermativo, la seconda, fallita la raccolta di firme per un
referendum abrogativo, può invece essere ancora modificata per via
ordinaria.
La riforma della Costituzione non porterà i frutti
sperati perché sono troppe le sue contraddizioni interne, anche laddove
individua correttamente un punto nevralgico come la corsia preferenziale
in Parlamento per le proposte governative — la cosiddetta “data certa”.
Ma la riforma elettorale, invece, porterà frutti avvelenati.
L’insistenza
del segretario democratico nel difendere il suo progetto, che trasuda
fiorentinità da ogni comma, si spiega solo nella sua convinzione che il
risultato più importante delle elezioni sia quello di «sapere chi ha
vinto» la sera stessa. Non si sa dove venga questa ansia da prestazione:
nessun sistema elettorale si pone questo obiettivo, nemmeno quello
inglese. Questo, semmai, vale per le elezioni ad una carica
“monocratica” — sindaco, presidente di Regione e, in altri sistemi,
presidente. Non vale per i Parlamenti che sono luoghi dell’incontro e
della deliberazione.
Nel 2005, quando gli elettori britannici non
avevano dato il mandato a governare ad alcun partito, gli inglesi, più
che disperati furono eccitati dall’idea che ci fossero degli
accordi-compromessi non solo all’interno del partito vincente per
spartirsi i posti — come avviene sempre e dovunque — ma anche tra
partiti diversi.
Evidentemente in Italia l’orrore per il dialogo
ha prevalso su ogni altra considerazione nella convinzione che un bel
premio a chi vince, come fa l’Italicum, risolva ogni problema di
governabilità, alla faccia della rappresentanza e della rispondenza.
Allarma che il segretario del Pd non tenga in conto il problema oggi più
insidioso per la democrazia, in Italia come altrove: la rivolta contro
chi governa, trasformata subito in élite o in casta.
L’antipolitica,
con il suo correlato di populismo, è il vero nemico della democrazia. È
la distanza che separa politici e cittadini ad infettare il nostro
sistema. La penetrazione massiccia dei 5Stelle tra le componenti
giovanili- centrali (sotto i 45 anni), abbastanza istruite, e di ceto
medio e medio-basso, dimostra quanto sia drammatica, e pericolosa, una
tale ampiezza del sentimento anti- establishment.
Allora, come
fare a disinnescare questa pulsione negativa verso la politica e il
vivere civile? Dando tutto il potere al vincitore come fa l’Italicum? Ma
nemmeno per sogno.
La risposta migliore sta nel cercare di
riavvicinare elettori e eletti con quel sistema elettorale che più
riduce le distanze tra gli uni e gli altri. Vale a dire con un sistema
uninominale in cui ogni collegio ha il suo deputato, poi corretto da un
ballottaggio tra i primi o tra chi supera una certa soglia, per tagliare
le frange estreme e velleitarie e favorire la governabilità.
L’Italicum
è nato male e non lo si può ritoccare. Va buttato alle ortiche. Come
sarebbe stato molto meglio abolire il Senato piuttosto che trasformarlo
in un dopolavoro dei consiglieri regionali, l’Italicum va cancellato
perché non colma in nessuna maniera il fossato tra cittadini e
rappresentanti.
Se non si comprende che quanto sia importante la
fuga dalle urne e la rabbia degli esclusi, allora si lascia andare alla
deriva il sistema. Il populismo ha ancora una valenza soft nei 5Stelle:
può deflagrare in posizioni lepeniste nell’arco di poco tempo.
Bisogna
correre ai ripari e invertire la rotta guardando al faro della maggiore
e migliore rispondenza tra governanti e governati. È l’intelligenza
delle cose che oggi sfida il capo del governo e segretario del Pd.