La Stampa 6.7.16
Intercettazioni
Dove finisce il pubblico interesse
di Carlo Federico Grosso
Ancora
una volta il tema delle intercettazioni è al centro della polemica
politica. Il 9 gennaio 2015 Raffaele Pizza in una conversazione
intercettata, parlando con Davide Tedesco, collaboratore o ex
collaboratore del ministro dell’Interno Alfano, si è vantato di avere
facilitato, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore Massimo
Sarmi, l’assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo
Poste. Né Massimo Sarmi, né il fratello del ministro, né tantomeno il
ministro risultano indagati, ma, sembrerebbe, l’intercettazione è stata
utilizzata soltanto per saggiare l’attendibilità del dichiarante.
Il
ministro Alfano ha, ieri, reagito con durezza alla propalazione: «Siamo
di fronte - ha scandito - all’uso politico degli scarti di una
inchiesta giudiziaria, poiché ciò che i magistrati hanno studiato,
ritenendolo non idoneo a coinvolgermi, viene usato per fini
esclusivamente politici. Le intercettazioni non riguardano me, bensì
terze persone che parlano di me, persone, peraltro, che non vedo e non
sento da anni».
Il ministro, personalmente, ha probabilmente
ragione di dolersi: sono state pubblicizzate dichiarazioni che - al
momento - non hanno condotto a nessuna incriminazione né sua, né di suo
fratello, né dell’ex amministratore del Gruppo Poste, e la cui
pubblicazione ha senza dubbio assunto un rilievo politico. Davvero,
tuttavia, si deve ritenere che la notizia, per il solo fatto che la
propalazione del dichiarante non ha condotto alla incriminazione di
alcuno dei nominati, non doveva essere pubblicata?
Non affronto il
problema - marginale rispetto al nodo centrale del dibattito sulle
intercettazioni - se quella specifica intercettazione, al momento in cui
la pubblicazione è avvenuta, era ancora segreta o non era più segreta
in quanto già comunicata a taluno degli indagati (è ovvio, infatti, che
se quell’atto era ancora segreto, non avrebbe dovuto essere pubblicato).
Mi
interessa affrontare invece la questione se quella intercettazione -
ammesso che non fosse più segreta - poteva o non poteva, o addirittura
doveva o non doveva essere pubblicata. Sul piano del diritto vigente la
risposta è ovvia: sicuramente poteva essere pubblicata. Per altro verso i
giornalisti, quando hanno una notizia, normalmente la pubblicano: è
manifestazione del loro diritto/dovere di informare.
Molti
sostengono tuttavia che la legislazione vigente deve essere modificata,
con l’introduzione di limiti più stringenti alla pubblicizzazione delle
intercettazioni nella prospettiva della tutela della riservatezza delle
persone. Di fronte alle polemiche ricorrenti molti cittadini si
domandano, anzi, quanto aspetti il Parlamento a risolvere una volta per
tutte la questione con norme chiare e trancianti, in grado di eliminare
ogni dubbio e discussione.
Risolvere in modo soddisfacente per
tutti la questione non è tuttavia agevole. Non intendo discutere delle
proposte oltranziste, dirette a vietare del tutto, e per intere fasi del
procedimento, la pubblicazione di notizie concernenti i processi: esse
costituiscono un attentato alla libertà di stampa ed al diritto/dovere
di informare, e per questa sola ragione violerebbero la Costituzione.
Ma anche le proposte più circoscritte ed apparentemente razionali sollevano problemi.
Secondo
la linea di riforma che sembrerebbe al momento riscuotere maggior
consenso, si tenderebbe a vietare la pubblicazione delle intercettazioni
che riguardano situazioni estranee alle esigenze dell’indagine o
persone non coinvolte. Senza volere entrare in questa sede nei dettagli
tecnici di ciascuna proposta, mi limito a ricordare che in questa
prospettiva sono stati formulati diversi testi normativi orientati a
chiedere lo stralcio e la successiva cancellazione, previo
contraddittorio fra le parti, delle intercettazioni che non rilevano a
fini processuali.
In linea di principio, benissimo: ben vengano
proposte che, senza danneggiare le indagini con abnormi restrizione
dello strumento intercettazione (in passato non erano mancati anche
tentativi sciagurati in questa direzione), salvaguardino la privatezza
delle persone. In concreto, tuttavia, quale è il limite ragionevole al
diritto di pubblicare, e pertanto di informare?
Deve potere essere
pubblicato, si sostiene, soltanto ciò che attiene al processo; ciò che
non interessa la vicenda processuale è «privato» e la sua
pubblicizzazione deve essere pertanto preclusa. E se una notizia che
emerge da una intercettazione, pur non essendo rilevante a fini
processuali, ha un interesse pubblico perché riguarda un personaggio che
svolge una attività di pubblico interesse (sia essa politica,
economica, culturale, sportiva, ecc.) ed attiene specificamente alla
funzione esercitata o alla attività compiuta? Davvero essa non può né
deve essere pubblicata? Non risponde, la sua pubblicazione, ad una
legittima esigenza di informare la pubblica opinione su fatti e
circostanze che, data la caratura del personaggio, inevitabilmente
l’interessa?
Ecco perché preclusioni drastiche, anche se circoscritte, mi lasciano perplesso.
Torniamo
d’altronde al caso, esploso ieri, che ha interessato il ministro
dell’Interno. Davvero la notizia che un personaggio ha sostenuto in una
conversazione intercettata di avere forzato una assunzione lucrosa per
suo fratello deve essere considerata notizia «impubblicabile» soltanto
perché né il ministro, né suo fratello, né il dirigente avvicinato sono
imputati? Trattandosi di un ministro, la notizia è comunque di pubblico
interesse. L’importante è che essa sia pubblicata in maniera corretta,
facendo emergere tutte le peculiarità del caso. Se il dichiarante ha
mentito non mancheranno d’altronde, alle persone chiamate in causa, gli
strumenti per ottenere ristoro del danno patito.