Repubblica 6.7.16
I violenti e i poeti della città nascosta
di Marco Belpoliti
LA
MACCHINA da presa si concentra sul corpo incastrato tra le canne del
Tevere, proprio sotto il Ponte Marconi. È quello di un ragazzo.
Dissolvenza. Una baracca nella zona del Flaminio, vicino alle case
borghesi e alle antiche ville. Un anfratto, un interstizio, un corridoio
di casupole. Poi una porta listata a lutto. Un nome sulla porta: un
poeta. Chissà che film, che documentario, o docufilm, come si dice oggi,
ne avrebbe tratto Pier Paolo Pasolini. Due storie che per una
coincidenza, una sincronia direbbe Carl Gustav Jung, si vengono a
sovrapporre nella cronaca del medesimo giorno.
Beau Solomon, il
ragazzo trovato morto con una ferita alla testa, riverso nel fiume della
Città Eterna, e Valentino Zeichen il poeta che è scomparso nelle stesse
ore, dopo aver subìto poco tempo fa un ictus devastante. Nessun legame
tra di loro, se non il fatto che mostrano come in un documentario due
volti nascosti della città di Roma. Il primo, come un personaggio delle
sceneggiature e dei trattamenti di Pasolini degli anni Cinquanta, arriva
entusiasta e speranzoso a Roma per frequentare un corso estivo alla
John Cabot University a Trastevere. Ha ovviamente con sé un cellulare e
una carta di credito. Scompare tra i vicoli della movida romana. Lo
derubano forse, con l’inganno, più verosimilmente con la forza. Gli
infliggono delle ferite al capo. Una colluttazione. Come in un film
ambientato nelle borgate di tanti anni fa. Forse l’ha ucciso un balordo,
un uomo senza fissa dimora. La città conosce molti livelli; c’è anche
questo laggiù: il sottobosco. Lo straniero come un pollo da spennare.
Una storia finita male, tragica.
Da La donna del fiume a La notte
brava Pasolini ha tratteggiato situazioni simili, in zone nascoste della
città, interstizi, appunto, realtà parallele. Dove la carta di credito —
allora negli anni Cinquanta non c’era — è sparita per riapparire a
Milano. Altra immagine: tracciata una spesa di 1.500 dollari. Immergersi
in un sottomondo, come quello che mesi fa ha rivelato un’inchiesta de
“L’Espresso”, con la prostituzione giovanile nei cunicoli della Stazione
Termini. Mondi che ci sono, ma che non vediamo mai, solo quando un
fatto di cronaca li riporta a galla, ce li mostra. Come faceva Pasolini
con
Accattone e Mamma Roma: miseria, emarginazione, delitto,
disperazione. Zeichen l’irregolare, il fiumano espatriato in patria,
dandy della baracca, è altra cosa; ma anche lui viveva per volontaria
scelta ai margini, lontano dalla Roma ministeriale, quella del bel
mondo, la Roma della politica, delle terrazze di Ettore Scola e di Paolo
Sorrentino (forse non a caso La grande bellezza inizia con una ripresa
del Tevere, sul fiume, con i ponti che scorrono uno dopo l’altro, mondi
dentro il mondo). Abitava Zeichen per suo destino, o scelta, differenza
forse non c’è, in una catapecchia, come quella dei personaggi
pasoliniani, dove pioveva dentro nei giorni di piovaschi tropicali che
s’inanellano sempre più spesso nel cielo della Capitale. Di lui, come ha
scritto nel suo bel ritratto postumo Valerio Magrelli, si ricorda
l’atteggiamento provocatorio, polemico, ma anche il mistero che
circondava la sua vita, solo di recente narrata in interviste. Non si sa
neppure se Valentino Zeichen sia il suo vero nome. Profugo dopo la
cacciata degli italiani dalla Dalmazia, ha vissuto ai margini, in quel
sottomondo che la sua abitazione provvisoria identificava in modo così
evidente.
La sincronia di Jung indica molte cose, tra cui la
coincidenza tra uno stato psichico con un evento esterno, ma anche
l’idea di «una simultaneità di termini non connessi casualmente».
Trovare il significato comune di questi due eventi casuali, la morte del
ragazzo e quella del poeta, è davvero un’impresa che forse solo la
macchina da presa di un regista come Pasolini potrebbe sintetizzare con
l’assoluta icasticità che possiedono le immagini rispetto alle parole:
ben più forti e capaci di connessioni di senso. Roma città multistrato e
anche multiverso, in cui convivono alto e basso, passato e futuro,
città eterna perché eternamente si ripete, mostra ancora una volta
attraverso la casualità degli eventi che si svolgono nel suo gran teatro
che tutto è legato a tutto, che gli antecedenti causali e i conseguenti
casuali hanno qualcosa da spartire tra loro. Solo le inquadrature di un
poeta possono raccontare tutto questo: il dolore per una giovane vita
interrotta e la sua discesa in un Inferno senza senso, e insieme il
dispiacere per un poeta che abbiamo ammirato nella sua eccentricità
bizzarra di eterno baraccato della vita.