La Stampa 6.7.16
Cartoni, tende e sacchi a pelo
Quelle vite ai margini nelle baraccopoli sul Tevere
Sotto i ponti c’è un’altra città, popolata dagli invisibili
di Maria Corbi
Sotto
i ponti di Roma c’è un’altra città, fatta di emarginati, spesso
volontari, quelli che vengono chiamati, drop out. Chi si chiama fuori
dalla lotta quotidiana, dalla società che si accontenta di vivere ai
margini, o non sa fare altro dopo anni di alcol e droga. Ma anche
persone disturbate malati psichiatrici, scappati alle maglie dei centri
di igiene mentale e alle famiglie, o immigrati che non hanno altro posto
dove stare. Poi c’è anche chi sceglie questa vita come Laura Galletti,
ex grafica pubblicitaria che riempie gli argini del fiume di murales e
vive tra Testaccio e Porta Portese, in una baracca, con 27 euro al mese.
E i punkabbestia, in esilio volontario dalla civiltà.
Massimo
Galioto, aveva piccoli precedenti, aveva scelto Ponte Garibaldi e lì
sotto viveva con la sua compagna, Alessia, in una tenda celeste
circondata da pentole, lattine, scatole. Una casa improvvisata sulla
banchina, una vita alla giornata, comportamenti abbruttiti da questa
cattività. È Alessia a raccontare quella sera, quando Beau Solomon è
sceso sotto al ponte per inseguire chi gli aveva preso il portafoglio.
«Correva e poi ha urtato Max», racconta la donna come se non si rendesse
ancora conto di quello che è accaduto. «Hanno iniziato a spingersi e
poi il ragazzo è caduto nel fiume. Hanno avuto una colluttazione, è
finita male». C’era anche lei, dunque quella maledetta notte e non hanno
chiamato soccorsi. Massimo è tornato tranquillamente a dormire. E
Alessia lo racconta come fosse normale. D’altronde su queste sponde, in
questa desolazione, la normalità è un concetto che non ha più senso.
Non
esiste giustificazione, ma l’interpretazione è banale e drammatica
insieme quando si vive in una situazione di degrado e abbandono. E sono
tanti i drop out che trovano rifugio sulle sponde del Tevere complice il
clima mite della capitale. Da Ponte Milvio all’isola Tiberina fino a
ponte Testaccio una distesa di cartoni, tende, sacchi a pelo,
insediamenti che vengono sfollati e rinascono immediatamente dopo. Ponti
che non sono più collegamento, ma separazione. Persone che vivono di
poco, di espedienti, di carità da parte della Caritas o di Sant’Egidio
che offrono mense e docce. Sono 7800 i senza tetto a Roma (dati
Sant’Egidio), solo 2760 tra loro trovano riparo presso centri di
accoglienza notturna del Comune, parrocchie, istituti religiosi e
associazioni di volontariato. Per gli altri rimangono i ponti e le
strade. Roma è il destino degli invisibili, scriveva Pier Paolo
Pasolini.