Repubblica 6.7.16
Addio Zeichen sapiente Peter Pan della poesia
Viveva in una baracca dalla quale ogni sera usciva elegantissimo
Caustico e ironico, ha coltivato fino allo spasimo la sua pigrizia
Era nato a Fiume nel 1938
di Paolo Mauri
Il poeta è morto ieri a 78 anni. Aveva esordito con una raccolta nel 1974. Ha pubblicato anche romanzi, l’ultimo è “La Sumera”
Esce
di scena con la leggerezza di chi svolta l’angolo e scompare, agitando
appena la mano. Un ictus lo aveva colpito alcune settimane fa e c’era
stata una ripresa cospicua, con gli amici numerosissimi intorno al letto
a rincuorarlo. Poi era arrivata la notizia che gli sarebbe stata
concessa la legge Bacchelli: lui non la voleva, «mi rovina la
biografia», diceva sorridendo, ma alla fine, sempre sorridendo, aveva
accettato e del resto non l’aveva chiesta lui. Poi, ieri, il
cuore
lo ha tradito. Ma è vero che ti chiami Giuseppe Mario e non Valentino?
Gli avevo chiesto durante una visita. Aveva spalancato gli occhi, senza
rispondermi. Forse gli piaceva avere un nome segreto e una identità
alternativa a quella del profugo, nato a Fiume nel ’38.
Valentino
Zeichen è stato, me ne rendo conto adesso, una specie di Peter Pan
aggrappato alla sua isola-che-non-c’è e al giardino misterioso di cui
abitava le pendici, che non è quello di Kensington ma quello di Villa
Borghese. Lì, al Borghetto Flaminio, aveva la sua baracca (una baracca
vera con la lamiera al posto delle tegole) ma con il telefono e l’acqua
corrente, baracca dalla quale usciva la sera, elegantissimo, per andare a
cena da qualche amico o da qualche mecenate. Tutto quello che si diceva
di lui era vero: non aveva praticamente mai lavorato, salvo da giovane,
facendo qualcosa di saltuario e poi, ma ormai tanti anni fa, si era
dedicato ai collages che qualcosa gli rendevano. Villa Borghese, dove il
padre era stato giardiniere, era il suo regno e la Galleria d’Arte
Moderna, con quelle accoglienti scalinate, il suo teatro privato. È lì
che comincia La sumera il romanzo da poco pubblicato da Fazi (al quale
aveva anche affidato i suoi diari) che era stato presentato allo Strega.
In realtà si trattava di un romanzo di vent’anni e più fa che si
intitolava Tana per tutti (Lucarini).
Valentino aveva rinfrescato
il titolo ed era piacevolmente sorpreso perché se ne vendeva persino
qualche copia. I poeti, si sa, non vendono quasi nulla ed ora che l’aura
letteraria è tutta per libri che vendono centinaia di migliaia di copie
fruttando bei soldi, la poesia se ne sta in disparte aspettando che il
tempo passi, perché il tempo, alla fine, è sempre stato dalla parte
della poesia.
«Non appena fuori di casa / ci si chiede quale passo
/ si dovrebbe adottare / non avendo dove andare. / Lo stato d’animo
detta il moto / perpetuo, alla vista del vuoto». Questi versi, da Casa
di rieducazione (2012), potrebbero essere un suo ritratto. Come sempre
il poeta è per via e si guarda intorno, annota e internamente sorride.
Di lui si è detto che fosse un nipotino di Marziale e in effetti spesso
sfiora l’epigramma o comunque il ritrattino caustico, mentre tiene
d’occhio la città di Roma, di cui si sente padrone e guardiano.
Ricordo
che una volta Franco Cordelli, anche lui vecchio amico di Zeichen,
scrisse che a Ferragosto loro due non lasciavano mai la città deserta ed
era come se si dividessero il territorio per controllare che tutto
andasse come al solito. Nel suo ultimo romanzo, Una sostanza sottile,
Cordelli racconta proprio di come soffrisse lontano da Roma al punto
che, essendo ad Avignone per il festival, era capace di tornare a casa
facendo mille chilometri in macchina se c’era un intervallo di un paio
di giorni. In Casa di rieducazione Zeichen resuscita un poeta amico con
il quale aveva diviso molte cose: Dario Bellezza. Parla,proprio lui!,
della sua casa in disordine perenne e mette in bocca a Dario un giudizio
sulla svogliatezza di Zeichen, che sarebbe anche un bravo poeta ma non
si applica.
Valentino ha coltivato fino allo spasimo la propria
pigrizia, grato agli dei che di volta in volta lo hanno protetto. «Si
dice che la poesia / manchi di vero slancio, / che non sappia più volare
/ perché non più sorretta dai grandi angeli alati. / Che farci? È un
mondo / di poeti atei che volano /preferibilmente in aereo».
Ogni
cosa a ogni cosa ha detto addio è uno dei suoi titoli più belli ed è
dedicato a Carmelita Ferrari Dora, mecenate e amica della poesia, che
«mi ha paracadutato grazioso soccorso nel deserto della pagina bianca,
dove ero disperso». Tutto per Zeichen accade dentro la poesia. Se deve
lamentarsi perché un amico (il poeta Giuseppe Conte) non si fa più vivo
come una volta, scrive: «G. Conte, l’amico poeta / si è rinchiuso a
Nizza / in ermetica avarizia ». Zeichen esordì nel 1974 con Area di
rigore ed era già lo Zeichen più maturo a scrivere «Sprezzante di belle
lettere, le traccio nell’aria, svaniscono senza lasciare traccia». Ma i
suoi primi versi risalgono a molto tempo prima e li ha riproposti
qualche tempo fa la casa editrice La Cometa. In Scenario del 58 leggiamo
«Rosoni di chiese esposte al tramonto /arrossiscono per miracolosi
pudori». Nello stesso libretto c’è una prosa asciutta e indimenticabile
in cui Zeichen, ospite di un colonia estiva, racconta la visita della
madre malata di tisi e capisce che la sta vedendo per l’ultima volta.
Oggi
chi voglia avere sottomano l’opera di Zeichen può profittare della
seconda edizione ampliata di un Oscar a lui dedicato, con una bella
prefazione di Giulio Ferroni che spesso gli ha dedicato attenzione
critica, e con versi che vanno dal ’63 al 2014. Un bel ritratto gli ha
dedicato un altro amico di sempre, Stefano Malatesta, nel suo recente
Quando
Roma era un paradiso (Skira), dove tra l’altro ricorda come Hans Magnus
Enzesberger lo abbia inserito in un’antologia della poesia
contemporanea pubblicata in Germania dove figurano anche Primo Levi,
Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto.
Valentino amava farsi tagliare
i capelli alla tedesca con la sfumatura alta, era diventato un grande
esperto di armi e di guerre e si atteggiava volentieri ad
antidemocratico, credo soprattutto per far arrabbiare i suoi amici che
magari lo avevano invitato a cena. In effetti conduceva le sue battaglie
soprattutto nei ristoranti, convocando il cameriere e se possibile
anche il cuoco per rimproverargli qualcosa che non andava nella salsa
della pasta o nella cottura della carne. Spesso aveva ragione lui e una
volta Sapo Matteucci, che di cucina e di bevande se ne intende, mi disse
che temeva soprattutto il giudizio di Zeichen.
Adesso ripenso a
due versi che mi sono capitati sotto gli occhi quasi per caso, se poi il
caso esiste davvero: «Sono vissuto nei secoli / di due differenti
millenni / eppure sono morto». Buona eternità, caro Valentino.