Repubblica 6.7.16
Quei due libri in attesa di una sacra sentenza
Il processo ai giornalisti in Vaticano ricorda i tribunali sovietici
di Ezio Mauro
L’indagine
condotta dal comandante della gendarmeria vaticana Domenico Giani
attraverso perquisizioni e intercettazioni aveva preso il via dopo la
pubblicazione di documenti riservati inerenti la Prefettura per gli
Affari economici vaticana
Il 31 ottobre 2015, pochi giorni prima
della pubblicazione dei due libri sugli sprechi e i lussi in Vaticano -
uno di Gianluigi Nuzzi, l’altro di Emiliano Fittipaldi - la gendarmeria
arresta monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Chaouqui,
accusati di aver diffuso documenti riservati
Il 24 novembre 2015
si è aperto il processo. Con Chaouqui e Balda sono imputati il
segretario Nicola Maio, e i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi. Il Tribunale
vaticano ha chiesto 3 anni e 1 mese per Balda, 3 anni e 9 mesi per
Chaouqui, 1 anno e 9 mesi per Maio, 1 anno per Nuzzi e l’assoluzione di
Fittipaldi
Francesca Chaouqui, 33 anni, nel 2013 entra, unica
donna, nella Commissione di studio sull’organizzazione delle strutture
economiche e amministrative della Santa Sede. È accusata di aver passato
a Nuzzi documenti riservati
DA una parte la croce,
incastonata nel legno che regge gli scranni della Corte. Dall’altra il
busto severo di Pio XI, “professore di sacra eloquenza”, che sorveglia
l’aula. Sul soffitto, il simbolo sacro delle chiavi di Pietro che
normalmente aprono il regno dei cieli, ma oggi possono rinserrare anche
la porta del carcere vaticano, perché qui, nel Tribunale della Santa
Sede, si stanno celebrando gli ultimi atti del processo Vatileaks per la
fuga di notizie riservate dai sacri palazzi. Sulla panca degli imputati
che ha sullo schienale un cordolo in rilievo, in modo che nessuno possa
appoggiarsi ma tutti rimangano protesi verso la Corte, siedono due
funzionari vaticani (monsignor Lucio Vallejo Balda, segretario della
commissione nominata da Papa Francesco per l’indagine sulle finanze
vaticane, il suo collaboratore Nicola Maio) e una donna, Francesca
Immacolata Chaouqui, membro anche lei della commissione.
Nuzzi e
Fittipaldi sono accusati del reato di «associazione criminale» per la
rivelazione di notizie e documenti che riguardano interessi fondamentali
dello Stato. Con loro, imputati di «concorso» nella divulgazione di
documenti, due giornalisti, Emiliano Fittipaldi dell’Espresso e
Gianluigi Nuzzi, conduttore televisivo. Ma sarebbe più giusto dire che
sul banco degli imputati, nella grande sala al pianterreno del
Tribunale, ci sono due libri, portati alla sbarra in mezzo all’Europa
malandata e all’Occidente distratto del 2016, anno terzo dell’era
Bergoglio.
Quei due libri, frutto di due separate inchieste
giornalistiche, hanno in realtà molto poco a che fare con quelli che
nelle democrazie vengono comunemente considerati gli «interessi
fondamentali» dello Stato. Sia Via Crucis di Nuzzi che Avarizia
di
Fittipaldi riguardano invece la gestione disinvolta e per nulla
trasparente dei fondi del Vaticano e degli istituti collegati alla Santa
Sede, dai 70-80 milioni annui dell’obolo di San Pietro che finiscono ai
poveri solo in minima parte, secondo la Commissione europea, alla
fondazione Bambin Gesù che spende quasi mezzo milione di euro non per
l’ospedale infantile ma per ristrutturare l’attico del cardinal Bertone,
allo Ior che non dichiara a chi appartenevano quei quattromila conti
che sono stati chiusi, e ha ancora oggi misteriosi laici intestatari dei
suoi conti, al mercato delle case dei cardinali e all’immensa proprietà
immobiliare della Santa Sede, al prezzo della cause di beatificazione
dei santi, che arriva anche a 500mila euro per ogni anima venerabile
canonizzata. Uno scandalo? Certo. Una materia che per la Curia doveva
rimanere coperta, secondo quel culto del segreto avviato in Vaticano da
Bonifacio VIII? Probabile. Ma cosa c’entrano la Patria e l’interesse
nazionale con la denuncia del malgoverno delle sacre finanze?
In
realtà due terrori congiunti pesano su San Pietro da quando sulla cupola
della basilica, dove una volta nei mosaici s’innalzava immacolata la
fenice, vola alto il corvo. La prima paura riguarda la dimensione dei
guai economici della Santa Sede, strettamente legati alla gestione
oscura di troppi interessi. La seconda paura è che la mancanza di
trasparenza su questa materia favorisca un gioco incrociato di ricatti,
vendette e avvertimenti, diventando strumento di lotte di potere
interne, amplificate dal clamore profano che gonfia ogni rivelazione
all’esterno, rimandandola ingigantita dentro i sacri palazzi:
soprattutto in un momento in cui l’opera di rinnovamento di Papa
Francesco incontra forti resistenze nella Chiesa. Quando La Curia al
completo gli si è presentata davanti per gli auguri di Natale, il 23
dicembre di due anni fa, Francesco ha dato un posto d’onore a queste due
“malattie” nelle 15 piaghe che affliggono la Chiesa: il «terrorismo
delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi» che trasforma
gli uomini in «seminatori di zizzania, simili a Satana» e l’accumulo di
beni materiali per profitto mondano, «perché il sudario non ha tasche».
Bergoglio
sa che nel suo mandato in conclave c’è il recupero del ruolo della
Chiesa consumato attraverso gli scandali, i peccati contro il sesto e il
settimo comandamento, la rete di ricatti che da tutto questo è
cresciuta avviluppando il visibile e insidiando l’invisibile della
sacralità vaticana fino a deturparne il volto, come ha denunciato lo
stesso Ratzinger. Anche la rinuncia di Benedetto XVI è infatti un
obbligo testamentario, perché denuncia la fragilità papale davanti al
peso di una responsabilità di governo diventata intollerabile, quando
manca «il vigore del corpo e dell’animo ».
Il nuovo Papa è dunque
consapevole fin dall’apparizione sulla Loggia di essere stato eletto in
un rovesciamento geografico del potere curiale, quasi a dire basta agli
intrighi e ai ricatti italiani del Palazzo, tanto che appena quattro
mesi dopo la sua elezione cerca di frenare il volo dei corvi e i piani
dei loro addestratori. Lo fa mettendo mano al codice penale vaticano, in
particolare al paragrafo sui “Delitti contro la Patria”, aggiungendo un
nuovo articolo, il 116 bis. «Chiunque si procura illegittimamente o
rivela notizie o documenti di cui è vietata la divulgazione, è punito
con la reclusione da sei mesi a due anni — dice la norma — Se la
condotta ha avuto a oggetto notizie o documenti concernenti gli
interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede o dello
Stato, si applica la pena della reclusione da quattro a otto anni».
Quando
escono i due libri, l’indagine della Gendarmeria scopre una «squadra
operativa» che si è formata proprio nella Prefettura per gli Affari
Economici, con l’obiettivo di raccogliere materiali riservati e
diffonderli all’estero. Il Promotore di Giustizia, cioè il Pubblico
Ministero Vaticano, individua in Balda, Chaouqui e Maio il «sodalizio
criminale organizzato col presupposto di una missione da seguire per
realizzare la vera volontà del Papa», attraverso la raccolta e la
diffusione di notizie e documenti sensibili. Con loro, finiscono a
giudizio i due giornalisti, prima con l’ipotesi di minacce sui
funzionari vaticani per avere i materiali, poi col sospetto di
pressioni, infine semplicemente — e incredibilmente — soltanto per aver
manifestato un interesse professionale alle notizie che dal Vaticano
venivano fatte filtrare. Non potendo bloccare i libri (che hanno autori
ed editori italiani, e sono tutelati e soggetti alle leggi italiane) si
accusano i loro due autori di «concorso» con i tre principali imputati,
accusati di «associazione criminale».
Poiché in Vaticano soffia lo
Spirito santo, ma non esiste la Costituzione, non c’è nemmeno
l’articolo 21 che nella nostra Carta tutela la libertà di espressione
dei cittadini, in quanto «tutti hanno diritto a manifestare liberamente
il proprio pensiero con parole, scritti e ogni altro mezzo di
diffusione», mentre «la stampa non può essere oggetto di autorizzazione o
censura ». Nel tribunale vaticano, così, lunedì i Promotori di
Giustizia Gian Pietro Milano e Roberto Zannotti hanno potuto accusare
Nuzzi e Fittipaldi di concorso morale nella divulgazione per «l’impulso
psicologico » che con la loro «presenza e disponibilità » ha
«contribuito a rafforzare il proposito della rivelazione delle notizie»
nei funzionari vaticani. I Promotori hanno precisato che «chi riceve
notizie normalmente non è punibile». Ma hanno aggiunto: «Lo diventa se
rafforza il proposito di chi le rivela. I giornalisti sono stati una
ragione essenziale per divulgare le notizie». Quindi siamo davanti a
questo paradosso: due giornalisti sono portati in Tribunale perché con
la loro semplice «presenza e disponibilità » hanno rafforzato la
decisione di divulgare le carte da parte di un «sodalizio criminale» già
organizzato a tal fine in Vaticano; la pura presenza diventa una colpa;
la disponibilità a raccogliere notizie un comportamento da censurare. E
il mestiere di giornalista finisce sotto accusa. Quasi una vendetta per
il passato, e un monito per il futuro: qui la libertà di stampa non
esiste, fare giornalismo secondo le regole e i comandamenti di ogni
democrazia dietro le mura leonine può diventare un reato. E infatti
mentre per Fittipaldi il Promotore ha proposto l’assoluzione per
insufficienza di prove, per Nuzzi ha chiesto la condanna a un anno, con
sospensione condizionale. Per Chaouqui 3 anni e nove mesi, per Balda tre
anni e un mese, per Maio un anno e nove mesi.
Così finisce lo
strano processo in cui gli imputati non hanno potuto avere copia del
fascicolo che li riguarda, per la difesa hanno dovuto obbligatoriamente
scegliere due nomi nell’elenco presso la Santa Sede degli avvocati
rotali, mentre monsignor Balda ha negato in aula di aver ricevuto
qualsiasi minaccia dai giornalisti, nessuno ha presentato una querela
per affermazioni non veritiere nei due libri, le fonti erano
istituzionali. È l’ultimo paradosso di un processo in uno Stato
straniero che vede coinvolti tutti cittadini italiani (giudici,
Promotori e avvocati compresi) salvo il monsignore segretario della
Prefettura per gli Affari Economici. Tanto che Nuzzi ha chiesto al
premier Renzi «perché il governo italiano tace, visto che sono
intervenute organizzazioni internazionali a tutela della libertà di
stampa».
Resta una domanda: e il Papa? Francesco ha parlato due
volte di Vatileaks. La prima all’Angelus dell’8 novembre 2015, festa di
San Goffredo: «So che molti di voi sono turbati dalle notizie che
riguardano documenti riservati della Santa Sede sottratti e pubblicati.
Voglio dirvi che rubare questi documenti è un reato, è un atto
deplorevole che non aiuta. E voglio assicurarvi che questo fatto non mi
distoglie dal lavoro di riforma che sto portando avanti». La seconda il
30 novembre 2015, Sant’Andrea, rispondendo ai giornalisti: «La stampa
libera laica e confessionale ma professionale (perché le notizie non
devono essere manipolate) per me è importante, perché la denuncia delle
ingiustizie e della corruzione è un bel lavoro. Ma la stampa deve dire
tutto, senza cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione, la
calunnia e la diffamazione».
In questo caso non c’è calunnia, non
c’è diffamazione, non c’è disinformazione. C’è una verità scomoda, che
qualcuno dal Vaticano ha voluto far conoscere all’esterno, e che i
giornalisti hanno ovviamente pubblicato, verificata la fonte. C’è la
fattispecie surreale dell’«impulso psicologico », trasformata in un atto
d’accusa. È bastato questo al direttore di Radio Maria, Padre Livio
Fanzaga, per condannare con grande anticipo Nuzzi e Fittipaldi, il 6
novembre 2015: «Quelli che mi scandalizzano sono i giuda, i giornalisti
dalla lingua e dalla penna biforcuta mi fanno nauseare. Mi fa fatica
pregare per loro, perché io li impiccherei, quasi quasi».
Alla
fine, restano due libri sugli scranni di un Tribunale, come nel processo
sovietico ai romanzi di Sinjavsky e Daniel nel 1966, quando gli
imputati provarono invano a spiegare in aula che a un libro non si
possono applicare categorie giuridiche. Due libri, che aspettano ormai
la sacra sentenza.
I volumi di Fittipaldi e Nuzzi sono frutto di
inchieste giornalistiche: nessuno ha presentato querela per affermazioni
non veritiere Poiché in Vaticano soffia lo Spirito santo ma non esiste
la Costituzione non c’è nemmeno l’articolo 21 che tutela la libertà di
espressione dei cittadini.