Repubblica 4.7.16
Quei terroristi che usano l’Islam ignorando le parole del Profeta
I jihadisti prendono a riferimento dei versetti che erano validi all’epoca della rivelazione ma oggi non hanno senso
L’ispirazione viene loro dal wahabismo, la corrente più radicale della religione musulmana
Chi uccide in nome dell’Islam è manipolato dai comandanti insediati in Siria e in Iraq
Tahar
Ben Jelloun, 71 anni, è un noto scrittore, poeta e saggista marocchino
Tra i suoi libri, “È questo l’Islam che fa paura” (Bompiani)
di Tahar Ben Jelloun
I
TERRORISTI che hanno appena portato a segno la micidiale operazione nel
centro di Dacca, capitale del Bangladesh, seguono istruzioni precise
per diffondere il terrore in nome della fede islamica, ovunque l’Islam
non sia vissuto come essi pensano che debba essere praticato. In questo
non c’è né fede né Islam ma solo odio e sangue. L’autoproclamato califfo
al-Baghdadi regna su quello che chiama “Stato islamico”, ma più perde
sul campo, grazie alla coalizione internazionale, e più impartisce
ordini ai commandos dormienti in Europa, Africa e Asia. Il Bangladesh è
già stato teatro di vari attentati contro le minoranze religiose che
vivono al fianco del 90 per cento di musulmani: indù, sciiti, cristiani,
sufi (mistici). Il gruppo
Jamaat- ul- Mujahideen combatte una
guerra senza pietà contro tutti quelli che non sono musulmani o buoni
musulmani. Spesso uccidono con armi da taglio.
Da dove viene una così grande violenza? Alcuni sostengono che è racchiusa nel Corano.
MENTRE
cercava di diffondere il messaggio ricevuto da Dio attraverso
l’arcangelo Gabriele, il profeta Maometto aveva dovuto combattere e
difendersi. Ai suoi tempi c’erano violenza, guerre e massacri. Era il
VII secolo, un tempo preciso e un contesto storico preciso.
I
jihadisti di oggi prendono a riferimento dei versetti che erano validi
all’epoca della loro rivelazione ma oggi non hanno più senso.
Inoltre
bisogna sempre chiedersi se tutti i terroristi che si ritengono
appartenenti all’Islam abbiano la stessa fede, le stesse convinzioni
religiose e gli stessi progetti. Il terrorista francese che ha ucciso un
comandante della polizia e sgozzato la sua compagna davanti al
figlioletto ha lasciato un video in cui spiega i suoi gesti. Cita dei
versetti del Corano e degli hadith del profeta Maometto. È convinto di
stare solo eseguendo gli ordini che crede di aver letto fra le righe di
certi versetti. Dice di aver agito per fede e di aver combattuto i
miscredenti seguendo «il sentiero di Dio».
Gli assassini del
Bangladesh non hanno giustificato i delitti commessi ma fanno parte di
quella “internazionale jihadista” comandata dall’Iraq
dall’autoproclamato califfo dello Stato islamico. Intanto, Al Qaeda che,
in paragonata a Daesh negli ultimi anni è rimasta in disparte sul
palcoscenico internazionale, cerca di tornare sulla scena: ma non ha in
programma l’insediamento di uno “Stato islamico” in tutto il mondo.
Ci
sono terroristi che ubbidiscono senza pensare alla fede, altri agiscono
sotto l’effetto di una male interpretata fede religiosa. Ma il
risultato è lo stesso: l’Islam è usato come bandiera e come ideologia
distruttrice.
Eppure questa violenza non è mai giustificata dal
discorso musulmano. Al contrario, il Profeta, anche quando era sotto
attacco, ripeteva incessantemente ai suoi soldati di non commettere
crimini. Vietava alle donne e agli adolescenti di partecipare alla
guerra. Diceva anche ai soldati che in battaglia non bisogna distruggere
le case né uccidere donne e bambini o disturbare i religiosi raccolti
in preghiera.
La sua saggezza e la sua filosofia sono ignorate dai
jihadisti di oggi, per lo più manipolati dai comandanti insediati in
Iraq o in Siria. L’importante per Daesh è diffondere il terrore e
instaurare con la forza uno Stato di cui l’Islam, così come lo intendono
quei comandanti, sarebbe la costituzione, la morale e la cultura. È
l’Islam wahabita, dal nome di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab, un teologo
saudita del XVIII secolo: applicazione della sharia nuda e cruda.
In tutta questa barbarie la fede non c’entra affatto: la fede è sinonimo di pace e valori umanitari, non di crimini e brutalità.
(Traduzione di Elda Volterrani)