Corriere 4.7.16
«Madrasse, università, velo I soldi dei sauditi hanno stravolto il mio Paese»
di Viviana Mazza
Gli
attentatori non venivano dalle madrasse, le scuole religiose sulla cui
proliferazione anche in Bangladesh c’è molto allarme, ma da università
private. Che cosa significa?
«Queste forze islamiche militanti e
terroriste stanno raggiungendo ogni sezione della società, anche le
donne. Anche quando quello che rappresentano è completamente antitetico,
trovano il linguaggio e le argomentazioni adatte alla classe sociale e
al background», dice al Corriere da Dacca Kushi Kabir, la più nota
attivista dei diritti umani del Bangladesh, candidata in passato al
Nobel per la Pace e attiva dagli anni Settanta per i diritti di uomini e
donne nelle zone rurali. In un Paese che ha conquistato l’indipendenza
nel 1971, «ma non in nome dell’identità musulmana», precisa Kabir, e
«dove la forma prevalente dell’Islam è il sufismo, spirituale e
tollerante», negli ultimi anni le cose sono cambiate. «Dal 2013 tutti
coloro che hanno una mentalità razionale, scientifica, coloro che si
dicono atei o che mettono in dubbio la religione hanno cominciato ad
essere uccisi. Poi è successo ai preti e alla ridottissima minoranza
sciita e già prima gli ahmadi. Attentati ogni due-quattro mesi, poi
anche due o tre nello stesso mese. Prima che ce ne accorgessimo, sono
passati al machete».
Come sono cambiate le cose?
«Con la
diffusione in Bangladesh del wahhabismo, una forma intollerante
dell’islam che viene dall’Arabia saudita. Tanti soldi sauditi finiscono
in organizzazioni e fondazioni. Quando ci fu il processo per il
genocidio avvenuto nel 1971, ci furono anche presioni perché certe
persone con contatti sauditi venissero liberate».
Come è possibile la penetrazione di questa mentalità a tutti i livelli?
«C’è
un revival religioso che si vede nelle scuole, nella costruzione di
enormi moschee con fondi provenienti dall’estero, nell’aumento del
numero di madrasse non consentite, registrate o controllate ma assai ben
finanziate. Ci sono molti bengalesi che vanno in Medio Oriente per
lavorare e tornano con valori diversi e diffondono un nuovo modo di
vestire. Vado nelle zone più remote e conservatrici sin dal 1973 senza
mai coprirmi il capo e non mi sono mai sentita rifiutata. L’hijab non è
mai stato diffuso qui, ora è diventata una moda. Non succede solo nelle
madrasse ma anche nelle università. Ci sono molte scuole private sorte
accanto a quelle statali. La religione era una questione privata in
questo Paese. Ma dai primi anni in tutte le scuole lo studio della
religione è obbligatorio. Non è necessariamente colpa delle istituzioni
ma se vedono accadere queste cose dovrebbero cambiarle».
Cosa sta facendo il governo?
«Non
lo so, è quello che ci chiediamo tutti. Potrebbe agire con forza, la
gente lo appoggerebbe. Basta con i giochi di potere tra partiti. Il
governo deve contrastare l’influenza dell’Arabia Saudita e prendere sul
serio questa guerra ideologica».