Repubblica 4.7.16
Che ne sarà della Gran Bretagna (e dell’Ue)
di Timothy Garton Ash
LA
BREXIT è un incubo da cui stiamo cercando di svegliarci. È stata una
settimana stranissima. Nei miei viaggi in Olanda e in Portogallo, dove
mi trovo ora, gli amici continentali mi hanno accolto abbracciandomi
come se avessi avuto un lutto in famiglia. Non è cambiato nulla ed è
cambiato tutto. In aeroporto sono passato come al solito dai varchi
riservati ai cittadini comunitari, ma poi sull’autobus, accanto a una
famiglia scozzese, mi sono ritrovato a pensare: può darsi che tra non
molto questi diventino degli stranieri, cittadini di un piccolo stato
indipendente in seno all’Ue, come la Slovacchia o la Slovenia. Ma
l’Inghilterra, la mia Inghilterra, che fine farà?
Durante una
breve tappa a Londra un perfetto sconosciuto mi ferma alla stazione
della metropolitana di Oxford Circus e mi dice che ha apprezzato il mio
ultimo articolo sul Guardian e che sta andando a una manifestazione
organizzata a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue, lo ha
appena letto su Facebook. Seguo la sua indicazione e mi trovo davanti a
un evento inusitato in Inghilterra; una sentita manifestazione pro Ue.
Alla fine, quando potrebbe essere ormai troppo tardi, la gente ha
scoperto di apprezzare moltissimo i vantaggi che la Ue ha procurato.
Sono in lacrime figli e genitori. Si scava nella storia familiare alla
ricerca di origini francesi, polacche, irlandesi. Girano email cariche
di sgomento e rabbia contro quel narciso opportunista di Boris per
lanciare iniziative disperate. Non c’è modo di invalidare giuridicamente
il risultato del referendum? Si farà il secondo referendum per cui sono
già state raccolte più di 4 milioni di firme? Il nostro parlamento
sovrano non può bloccare le procedure di recesso regolate dall’articolo
50? Non ho ricordi di un periodo in cui sia venuta a galla tanta rabbia
in Gran Bretagna. Il voto per il Leave (“uscita”) è stato alimentato
dall’indignazione di chi in Inghilterra e Galles si è sentito escluso,
perdente, ignorato. Ora la rabbia monta, come una scarica di adrenalina,
tra coloro che hanno votato Remain (“restare”). La generazione dei miei
figli grida: come avete osato rubarci il futuro?
Ma se la Gran
Bretagna è sgomenta, furiosa e divisa, lo è anche il resto d’Europa. In
linea di massima sono due le posizioni dei nostri partner europei. Una
di minoranza, che ha come portavoce il presidente della Commissione
Jean-Claude Juncker, il presidente francese François Hollande e il primo
ministro belga Charles Michel, dice in pratica «a mai più rivederci. Il
popolo britannico si è espresso. Bisogna che il Regno unito esca
dall’Unione il prima possibile». Nel corso di un incontro dell’European
Council on Foreign Relations all’Aia sono stato testimone diretto
dell’irritazione che questo approccio carolingio ha provocato in molti
altri stati membri, soprattutto del nord e dell’est Europa. In sintesi
pensano che sia strategicamente opportuno mantenere il più possibile
legata all’Unione Europea la massima parte del Regno Unito . Questo non
solo perché apprezzano ciò che la Gran Bretagna ha da offrire,
dall’economia di libero mercato alla politica estera e di sicurezza, ma
anche perché temono l’effetto domino del recesso britannico. Al contempo
e proprio per evitare quell’effetto domino, ribadiscono che alla Gran
Bretagna non possono essere concessi favoritismi nei negoziati, perché
così si incoraggerebbero i fautori della Frexit come Marine le Pen della
Nexit, come Geert Wilders nei Paesi Bassi, a tentare la sorte. Quindi
niente accesso al mercato unico se non vige la libera circolazione delle
persone. Sono tanti i pezzi del puzzle animato britannico europeo in
movimento; soprattutto la Scozia. Nel 2014, quando la Scozia propose la
secessione dal Regno Unito restando nell’Ue, la Spagna temette che fosse
di incoraggiamento alla Catalogna separatista e i giuristi europei
ribadirono che era necessaria una nuova domanda di adesione. Ma parlando
con politici ed esperti europei qui in Portogallo emerge chiaramente la
tesi secondo cui se la Scozia intende restare nell’Ue in qualità
effettiva di successore del Regno Unito, potrebbe ricevere un
trattamento molto diverso. Per quanto io sia contrario a che la Scozia
si separi dall’Inghilterra, non vedo perché gli scozzesi debbano essere
estromessi dall’Ue contro la loro volontà. E l’Irlanda allora? E la
revisione del progetto europeo in tutto il continente?
Non ci si
può attendere un riallineamento importante prima del voto in Francia e
in Germania del prossimo anno. Entro il 2018, sarà tutto più chiaro, il
probabile esito di un negoziato sul recesso in base all’articolo 50, le
intenzioni della Scozia e qualunque cambiamento che possa realizzarsi
sul continente e il nuovo leader del partito laburista sarà saldo in
sella. Sarà un momento migliore per chiedere ai britannici se davvero
intendono fare autogol. O forse il momento giusto verrà un po’ prima, o
un po’ dopo.
L’obiettivo strategico è chiaro: mantenere la massima
parte possibile del nostro regno disunito il più coinvolta possibile
negli affari del nostro continente. Ma a volte in politica è più saggio
stare a guardare, guadagnare tempo e tenere aperte alternative. In
questo momento è così.
Timothy Garton Ash è uno storico britannico e professore all’Università di Oxford ( Traduzione di Emilia Benghi)