La Stampa 4.7.16
Cacciari:
“Traditi i valori dei padri fondatori. Ora la Germania guidi la nuova Ue”
Non abbiamo cambiato il modello socialdemocratico
Necessario liberare risorse per politiche sociali e occupazione
intervista di Francesca Schianchi
«Se
si continua in questo modo, con questa crescita delle disuguaglianze,
senza politiche sociali, l’Europa salta per aria. E dopo si salvi chi
può, perché forse l’Unione non è più possibile, ma è certamente
necessaria: ogni staterello europeo, da solo, sarebbe alla mercé della
speculazione internazionale e del gioco delle grandi potenze imperiali».
Professor
Massimo Cacciari, come si è arrivati in Europa a questo livello di
disuguaglianze? Non era questa l’Europa che sognavano i padri fondatori…
«L’unità
politica europea sta tradendo le sue promesse fondative, perché tutti
speravamo in un’unità basata su politiche di uguaglianza e solidarietà.
La crescita delle disuguaglianze non data da oggi, è dall’inizio degli
anni ’80 che aumenta. Le forze politiche che hanno fondato l’idea
europea, quelle socialdemocratiche e quelle cattolico-popolari, che
ragionavano su politiche tendenzialmente egualitarie, hanno fallito. Ora
l’alternativa non è una nuova socialdemocrazia, ma Hofer, Le Pen,
Salvini. O, quando va bene, Grillo. E poi ci sono stati altri errori».
Tipo?
«Il
modo sciagurato con cui si sono realizzate politiche di espansione,
date solo da esigenze di politica di difesa. Bisognava essere più
prudenti. Dio non voglia che facciano la stessa cosa con la Turchia».
Di chi è la colpa se l’Europa è diventata così diseguale?
«Non
si è riusciti a modificare il modello di welfare socialdemocratico del
Secondo dopoguerra. Creando l’unità europea bisognava ridurre il modello
statalistico per ottenere risorse per le politiche sociali e la piena
occupazione, invece si è fatto il contrario. Questo ha provocato la
secessione dell’opinione pubblica dall’idea di unità politica europea:
gli antichi romani la chiamerebbero una secessio plebis».
Se in Italia si potesse fare un referendum come in Gran Bretagna secondo lei ci sarebbe una «Italexit»?
«No,
penso comunque che i favorevoli alla Ue sarebbero almeno il 60 per
cento. Come penso che, se gli inglesi potessero rivotare, vincerebbe il
Remain».
Nonostante la «secessio plebis»?
«Sì, perché è vero
che c’è il rigetto di una classe dirigente che ha tradito tutte le
promesse, ma c’è anche la paura dell’ignoto. Una paura che però non
durerà ancora molto».
Colpa anche della Germania e del suo dogma dell’austerità?
«La
Germania ha realizzato l’unificazione mantenendo politiche stabili: un
miracolo che abbiamo pagato tutti. Berlino ha certamente delle
responsabilità, ma è anche l’unica che può dettare il cambio di linea
che consenta di salvare la baracca».
Che cambio di linea servirebbe?
«Una
ristrutturazione del funzionamento complessivo della comunità,
ottenendo risorse per le politiche sociali e l’occupazione. L’unico che
mi pare lo capisca è Draghi».
E secondo lei c’è qualcosa che l’Italia può fare?
«Cercare
di convincere la Germania a esercitare al meglio il suo ruolo di
leader, anziché mostrare muscoletti che non ha. Si spenda per convincere
i tedeschi che stanno segando il ramo su cui sono seduti».