Repubblica 3.7.16
Prater
Vienna, violenze e psicosi razzista nel quartiere-bandiera degli xenofobi
Famoso per il Luna Park, dopo uno stupro era stato strumentalizzato dalla Fpoe
Per Hofer, che riparte ora con la sua campagna è il “simbolo di come gli stranieri ci invadono”
Gli abitanti: “I profughi non hanno colpe”
di Tonia Mastrobuoni
VIENNA.
Impossibile non pensare a Joseph Cotten e Orson Welles sospesi su una
Vienna in bianco e nero, guardando la gigantesca ruota del Prater che
issa lentamente le sue cabine rosse verso il cielo.
Ma nei paraggi
della vecchia stazione nord, la più antica della capitale, siamo ormai
anni luce dall’atmosfera livida ma elegante del Terzo uomo.
Il
Prater è un luna park sgargiante. Passando da una piazzola di macchine
da scontro al museo delle cere non cambia neanche la musica, un
forsennato valzer che insegue i turisti da decine di altoparlanti
diversi. Bambini urlanti si contendono una palla, una bambina bionda
affronta felice una grande nuvola di zucchero filato blu. A nessuno
verrebbe di pensare che appena fuori da qui, come in uno specchio
deformante, c’è un piccolo inferno.
Al di là dei capannoni del Luna Park, la stazione che porta il nome della leggendaria ruota,
Praterstern,
è uno dei punti nodali più importanti della città. Duecentomila
viennesi passano ogni giorno da quest’incrocio di treni, metro e tram.
Ma una notte dello scorso aprile, una 21enne che stava tornando a casa è
stata violentata e picchiata brutalmente nel bagno della stazione da
tre ragazzi afgani. Un episodio esploso come una bomba nella campagna
elettorale per le presidenziali, e diventato da allora un vero e proprio
cavallo di battaglia del candidato dell’ultradestra Norbert Hofer che
ora si appresta a riprendere il duello per la presidenza con il verde
Van der Bellen dopo l’annullamento del voto. Ogni volta che gli capitava
un microfono sotto il naso o un palco sotto ai piedi, il vicecapo della
Fpoe ruggiva che bisognava cacciare per sempre dal Paese profughi che
delinquono, dopo «lo stupro del Praterstern». Il quartiere della ruota
era diventato protagonista della propaganda xenofoba degli eredi di
Haider. La stazione è effettivamente diventata nell’accezione comune
«uno dei luoghi più pericolosi dell’Austria», come ha titolato un noto
quotidiano. Da anni le bande di spacciatori di incrociano con decine di
senzatetto, tossici e alcolisti che bivaccano all’ingresso o nel parco
adiacente. E adesso si è aggiunto, sostiene qualcuno, il problema dei
profughi. Dragiza è serba e qui si fa chiamare Doris; da oltre vent’anni
vende fiori davanti al Praterstern insieme al marito. «Il clima è
decisamente cambiato, in questi ultimi mesi. Le so dire esattamente dove
sono gli arabi che spacciano, lì all’angolo», Dragiza indica un punto a
pochi metri dal chiosco, «e nei mesi scorsi hanno rubato il telefonino a
mio marito. Una volta non sarebbe mai successo ». All’angolo, però, non
c’è nessuno. O meglio, c’è un turista con la camicia a scacchi che
studia attentamente una cartina. A pochi metri da “Leontina”, il chiosco
di Dragiza, comincia il parco attraversato da una stradina diventata
tristemente famosa per altri stupri avvenuti nei primi mesi di
quest’anno, addebitati a migranti libici e afgani.
E
innegabilmente, dopo i fatti di Colonia, dopo le rapine e le violenze
subite da centinaia di donne nella notte dello scorso Capodanno nella
città tedesca, la tentazione a fare i titoloni sui giornali quando il
passaporto dello stupratore è nordafricano o mediorientale, è cresciuta
in tutta Europa. Non a caso gli stupri dei profughi e dei migranti sono
stati un leitmotiv della destra austriaca.
Tuttavia le paure
scatenate dai fatti di cronaca attorno alla ruota più famosa del mondo
trascurano spesso i numeri. Il capo della polizia, Roman Hahslinger, ha
accentuato la presenza della polizia nella stazione: «Oggi sono oltre
cento gli agenti che presidiano la zona attorno al Praterstern e la
stazione stessa », ha annunciato di recente. Ma Hahslinger ha anche
puntualizzato più volte che «il numero delle violenze sessuali
denunciate non è aumentato», nei primi mesi di quest’anno, quando gli
stupri avevano riempito i giornali. «Sono le stesse dell’anno scorso».
Psicosi,
dunque? «Siamo tutti infettati, nemici e amici. Le nostre anime sono
piene di pustole nere che muoiono dopo poco. Noi sopravviviamo, ma siamo
morti». Pochi hanno descritto il propagarsi del razzismo come una peste
nella società tedesca e austriaca degli anni Trenta con la maestrìa di
Ödön von Horváth.
In un ipermercato dietro al Prater incrociamo
Margarethe, che vive qui da mezzo secolo e sembra ancora immune dalla
psicosi di Colonia e del Prater. Ha grandi occhi verdi e capelli candidi
e fa un gesto eloquente con la mano, come a scacciare un pensiero
cattivo, quando le ricordiamo gli stupri recenti. «Questo è un quartiere
come tanti altri e la presenza della polizia ha cacciato tanti
tossicodipendenti che giravano attorno alla stazione», ci racconta. «Ma
erano austriaci, altro che profughi. Sì, c’è qualche migrante in più, ma
che fa... Mi dà molto più fastidio il baccano, vivo da anni con le
finestre sbarrate, ho la casa di fronte alla ruota. Il mio problema non
sono i profughi: è il Luna Park».