il manifesto 3.7.16
Netanyahu alla conquista dell’Africa
Israele
. Il premier parte per l'Uganda in occasione del 40esimo anniversario
del blitz di Entebbe nel quadro di un viaggio che lo porterà anche in
altri tre Paesi subsahariani
Sul piatto ci sono lo sviluppo dei
rapporti commerciali e la vendita di armi ma anche appoggi e voti a
favore di Israele negli organismi internazionali
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Qualche anno fa Benyamin Netanyahu vedeva nell’Africa una fonte di
pericolo, potenzialmente mortale, per Israele. Descriveva scenari
apocalittici parlando della migrazione e delle guerre che dal Sudan,
dall’Eritrea e da altri Paesi africani, attraverso il Sinai egiziano,
portavano fino alle porte meridionali dello Stato ebraico migliaia di
esseri umani in fuga da conflitti, dittature o più semplicemente dalla
fame. E i suoi tre governi, dal 2009 a oggi, hanno stanziato centinaia
di milioni di shekel e approvato leggi e provvedimenti per fermare nel
deserto gli “infiltrati”, costruire centri di detenzione e alzare una
barriera lungo la frontiera con l’Egitto. «Gli infiltrati sono un duro
colpo all’economia, alla società, alle infrastrutture, al welfare e alla
sicurezza interna del nostro Paese», ha dichiarato in più di una
occasione il premier che poi è stato in grado di coinvincere uno o più
Stati dell’Africa subsahariana a ricevere, in cambio di soldi, i
migranti e richiedenti asilo espulsi da Israele. Il continente tanto
vituperato ora è nel cuore di Netanyahu che si appresta a partire per
alcune capitali africane dove promuoverà Israele, la sua economia e le
sue produzioni (soprattutto di armi e sistemi di sicurezza). Cercherà di
stringere i rapporti anche per garantire a Israele appoggi decisivi
negli organismi internazionali. Specialmente nel Consiglio di Sicurezza
dell’Onu dove i palestinesi da tempo tentano, senza successo, di
ottenere i consensi necessari per andare a una votazione dei 15 membri
sul loro Stato indipendente.
È il primo viaggio in Africa di un
primo ministro israeliano dal 1994, quando il premier Yitzhak Rabin si
recò a Casablanca. Netanyahu conta di essere in Uganda il 4 luglio, in
occasione del 40esimo anniversario del blitz ad Entebbe delle forze
speciali israeliane contro i dirottatori – del Fronte popolare per la
liberazione della Palestina e i tedeschi della Rote Armee Fraktion
(Baader-Meinhof) – di un aereo di linea con a bordo decine di passeggeri
israeliani. I dirottatori chiedevano la scarcerazione di 40 palestinesi
detenuti in Israele e quella di altri 13 che si trovavano nelle
prigioni di Francia, Svizzera, Germania e Kenya. In quell’operazione,
quest’anno molto celebrata in Israele, morì Yonatan Netanyahu, il
fratello del premier.
Netanyahu è atteso inoltre in Kenya, Etiopia
e Ruanda. La settimana scorsa il governo israeliano ha approvato
l’apertura nei quattro Paesi degli uffici dell’Agenzia di Israele per lo
sviluppo internazionale. Il premier ha spiegato ai suoi ministri che il
viaggio in Africa «rientra in un grande sforzo da parte nostra per
tornare in Africa in grande stile…Questo è importante per le aziende
israeliane e per lo Stato di Israele. Ed è importante anche per i paesi
dell’Africa». Israele ha lanciato un pacchetto di aiuti da 13 milioni di
dollari per rafforzare i legami economici e la cooperazione, ad ogni
livello, con i paesi africani. Offre anche la formazione per la
“sicurezza interna”, cosa che già fa in Sud Sudan, un Paese giovane che
vanta rapporti stretti con Tel Aviv e, secondo indiscrezioni,
ospiterebbe basi militari e di intelligence dello Stato ebraico (lo
stesso si dice dell’Eritrea). In passato erano note le relazioni,
soprattutto militari, tra Israele e il Sudafrica dell’apartheid. Mentre
il mondo isolava il Paese della segregazione razziale, Israele manteneva
una intesa collaborazione con Pretoria che avrebbe aiutato ad
effettuare test atomici. Una scelta di campo che i sudafricani neri non
hanno mai dimenticato. L’Anc di Nelson Mandela era e resta sostenitore
dei diritti dei palestinesi e ha spesso preso posizione contro
l’occupazione israeliana e la colonizzazione.
Dopo la sua
fondazione nel 1948 Israele ebbe buoni rapporti con diversi Paesi
dell’Africa nera, in contrapposizione a quelli inesistenti con gli Stati
arabi africani. Queste relazioni si spezzarono negli anni ’60 sotto
l’urto degli ideali di liberazione che diffondeva nel continente e in
Medio oriente il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. E la distanza è
rimasta ampia fino a qualche anno fa, quando Israele, per merito della
“nuova politica estera” dell’ex ministro Avigdor Lieberman, ora alla
difesa, ha cominciato a corteggiare alcuni Stati subsahariani, primo fra
tutti il Kenya, per mettere in difficoltà la politica regionale
dell’Egitto. Si è aperto un sentiero che Netanyahu intende trasformare
in una autostrada con vantaggi indubbi per l’economia, le vendite di
armi e gli interessi strategici di Israele, in particolare nell’Africa
orientale da dove è possibile tenere sotto osservazione la vasta area
che va dal Mar Rosso fino al Golfo e l’Oceano indiano.