Repubblica 3.7.16
Il Dio dei millennials
Sempre più
giovani (tre su dieci) si dichiarano non credenti. E tra chi continua a
professare la fede cresce il disinteresse per la preghiera Il che non
vuol dire la fine del sacro
Una serie di ricerche e di saggi indagano il fenomeno
di Simonetta Fiori
Il
Dio dei millennials è morto o sta poco bene. Così dicono le ultime
inchieste sulla fede delle nuove generazioni. Sono sempre di più i
ragazzi che si dichiarano atei, agnostici o indifferenti, pur provenendo
non da un background laico ma da un’educazione cattolica (e mai da una
mala educación). Quasi tre giovani su dieci, tra i diciotto e i
ventinove anni, «sembrano aver rimosso dalla propria carta di identità
un riferimento ultimo e trascendente ». E tra i tanti che continuano a
professarsi credenti prevale un sostanziale disinteresse alla fede e
alla preghiera: più che nella dimensione spirituale, il cattolicesimo
sopravvive come eredità culturale o legame sociale, senza troppi
coinvolgimenti interiori.
Pur con accenti diversi, l’aumento dei
non credenti nel mondo giovanile viene registrato da libri e riviste che
si interrogano sulla portata del fenomeno. Più interno alla Chiesa il
saggio Dio a modo mio apparso sull’ultimo numero di Civiltà cattolica
che fa riferimento a centocinquanta testimonianze raccolte da Rita Bichi
e Paola Bignardi. D’impronta laica la nuova articolata indagine
pubblicata dal Mulino a cura di Franco Garelli, il sociologo cattolico
allievo di Luciano Gallino che ha interpellato quasi millecinquecento
ragazzi rappresentativi delle varie aeree del paese ( Piccoli atei
crescono).
Al di là del diverso metodo e della diversa
ispirazione, non cambia la fotografia di un paesaggio giovanile sempre
più secolarizzato, dove la fede anche quando c’è diventa sempre più
soggettiva ed evanescente. Una generazione senza Dio? Il punto
interrogativo è d’obbligo – così nel sottotitolo dell’inchiesta del
Mulino - perché la ricerca del sacro è un tratto irrinunciabile tra i
ragazzi, anche sotto forme imprevedibili. A latitare tra i più giovani è
il Dio con la maiuscola, il Signore terrifico dell’antico Testamento,
sostituito da un altro più dimesso, il dio minuscolo delle piccole cose,
che non è più un’entità carica di mistero ma a che fare con la ricerca
di un’armonia personale. Alla dimensione della trascendenza e della
eternità subentra quella dell’immanenza e la temporalità. E il Dio del
timore cede il passo alla figura dell’amore. In fondo è capitato a Dio
quello che è successo al padre, sostiene una delle ragazze intervistate
da Garelli. «Un tempo erano più padri e padroni, ora sono più permissivi
e si fanno sottomettere dagli stessi figli. Perché se pensiamo a Dio
come nostro papà sappiamo che ci vuole bene anche se noi ce ne possiamo
fregare di lui». Insomma, una generazione “scialla” più che
convintamente agnostica. Ma attenzione a cedere al luogo comune sulla
superficialità e sull’apatia morale dei più giovani: molti di loro
rifiutano la primazia della non credenza, che restituiscono volentieri a
chi li ha preceduti.
Noi «la prima generazione incredula»? Non
scherziamo, risponde la maggior parte dei giovani interpellati. Quella
dell’età dell’oro della fede - coltivata dai nonni, conservata dai
genitori e dissipata dai figli - è una rappresentazione fuorviante che
mette su una strada sbagliata. Perché a rompere il patto religioso, con i
loro comportamenti ondivaghi e improntati al conformismo sociale, sono
stati mamma e papà. E anche sul terreno della religiosità si ripropone
l’alleanza generazionale con i nonni che spesso si verifica nella
politica o in altre zone dell’esistenza: quello dei nonni è giudicato un
modello criticabile e culturalmente lontano ma nitido e coerente.
Mentre il comportamento dei padri e delle madri risulta incerto,
sfocato, intermittente. In una parola, deludente sul piano della
testimonianza. «Noi portiamo a compimento ciò che è stato seminato nel
passato», dice un ragazzo non credente. La rottura della tradizione è
un’eredità, non una elaborazione originale. «La mia generazione non è
incredula quanto piuttosto arrabbiata per il senso di abbandono profondo
e viscerale», reagisce un altro millennial. E la sintesi arriva da una
ragazza loro coetanea: la religione è mistero e fiducia, e noi non
possiamo permetterci né il mistero né la fiducia.
Altro che
generazione superficiale, abituata a surfare sull’onda del digitale.
Altro che smarrimento etico. Vietato confondere la fuga da Dio con la
perdita di una domanda spirituale. La ricerca di senso e oltre
l’immanenza avviene attraverso modalità e rituali diversi. La preghiera,
ad esempio. La ricerca di Garelli ci mostra che se è vero che trenta
ragazzi su cento non pregano mai, la pulsione verso il Padre Eterno può
muovere anche una parte dei giovani non credenti, che magari rinunciano
al Pater Noster ma non al silenzio, alla meditazione, alla lettura della
Bibbia o all’attraversamento dei meandri sconosciuti della propria
interiorità. E il modo di pregare cambia anche tra i cattolici più
convinti. Tra credenti e non credenti possono esistere zone di
contiguità impensabili qualche decennio fa. Ed è questa un’altra cifra
originale dei millennials, che abbattono muri e perimetri del passato
sostituiti con flussi continui tra un campo e l’altro «E’ una
generazione postideologica », dice Garelli. «Questi ragazzi si sono
liberati dalle zavorre della storia. E si aprono alle ragioni degli
altri pur non condividendole ». L’anticlericalismo vecchio stile appare
una moda decaduta, i professionisti dell’ateismo militante figure
superate e un po’ indigeste. «Pur ben convinti di non avere un cielo
sopra di sé, molti giovani non credenti ritengono legittimo credere in
Dio anche nella società contemporanea, negando quindi l’assunto che la
modernità avanzata sia la tomba della religione. E viceversa molti
credenti sono consapevoli di quanto sia difficile professare una fede
religiosa nelle attuali condizioni di vita».
Cosa induce un
ragazzo ad allontanarsi da Dio? L’agnosticismo annida soprattutto tra i
figli dei separati, «tra chi ha vissuto la rottura dei legami famigliari
o la perdita della certezza affettiva», spiega Garelli. A incrinare la
fede possono intervenire le fratture esistenziali, come la perdita del
lavoro o una condizione precaria. Ma può incidere anche l’estraneità a
una Chiesa percepita come pomposa e ingiusta gerarchia, regno del
privilegio e della ricchezza e non degli ultimi. E questo nonostante la
rivoluzione di Francesco, il papa delle periferie e dei semplici. Anzi,
un dato che sorprende è che vi siano sacche di resistenza verso una
figura come Bergoglio, che però viene criticato non tanto dagli atei
quanto da una piccola parte della minoranza dei credenti convinti. Ed è
così che il papa argentino appare più avanti di alcune zone della
società italiana che lo rimproverano di «privilegiare il sociale
rispetto al sacro», «di mettere sullo stesso piano credenti e non
credenti» e «di incoraggiare una presenza straniera sempre più
ingombrante ». Contraddizioni interne a chi si professa cattolico
praticante.
Il Dio dei millennials non sta troppo bene, ma
restiamo pur sempre il paese dove «anche gli atei sono cattolici», si
sposano in chiesa e preferiscono il funerale religioso. Il nostro
zoccolo duro dei ragazzi non credenti (28%) resta poca cosa rispetto a
paesi come Svezia, Germania, Olanda, Belgio e Francia, dove «il vento
della morte di Dio è già soffiato con forza» raggiungendo tra i più
giovani percentuali intorno al 50/65% (mentre nei fervidi Stati Uniti
gli scettici non raggiungono quota 18%). Quel che da noi colpisce è il
ritmo di crescita degli agnostici (non arrivavano al 10% nel passaggio
di secolo), forse favorito dal mutato clima culturale. Oggi i ragazzi
italiani si sentono più liberi di negare Dio, avvertendo «che è venuto
meno lo stigma che prima colpiva increduli e miscredenti». E poi la
religiosità resta comunque sullo sfondo, «anche se è un fondale sempre
più lontano dal palcoscenico della vita». Al momento, in sostanza, non
si registrano tracolli. In attesa di vedere come sarà il prosieguo della
recita.