Repubblica 20.7.16
Credulità
Crolla il principio di autorevolezza e spopolano guaritori e imbonitori
Così veniamo consolati dai tanti ciarlatani della rete
di Marino Niola
Creduloni
onniscienti e complottardi diffidenti. È il paradosso della civiltà
dell’informazione. Sappiamo sempre di più ma capiamo sempre di meno. E
la realtà ci sfugge da ogni parte per eccesso di particolari. Inondati
da immagini, notizie, informazioni, agenzie, newsletter, forum, chat,
blog, pop up, che il web sversa su di noi come un fiume inarrestabile.
Un download debordante che impalla il nostro processore critico. E così,
incapaci di selezionare e valutare,
ci beviamo tutto quel che
viene portato dalle correnti di internet. Il risultato è che l’aumento
delle conoscenze e i progressi tecnologici invece che potenziare le
difese della ragione provocano un ritorno massiccio di voci
incontrollate, credenze infondate, verità millantate. E ciarlatanerie
spudorate.
Di conseguenza, l’abuso della credulità popolare, che
sembrava roba d’altri tempi, da società prescolare, ormai superato dal
progresso delle conoscenze, sta ridiventando un fenomeno tristemente
attuale. Col favore del web, che pullula di falsi scienziati e di
autentici lestofanti. Guaritori, venditori, imbonitori, persuasori,
arruffapopolo, contafrottole, predicatori, mental trainer,
somatopsicologi, rabdomanti digitali e altri spacciatori di bufale che
assomigliano tanto ai ciurmatori che imperversavano nella società
preilluminista. Quelli che vendevano nelle pubbliche piazze i loro
specifici, ovvero preparati miracolosi in grado di fermare il tempo,
vincere le malattie, ridare vigore all’eros, far diventare ricchi. Come
il dottor Dulcamara, protagonista dell’Elisir d’amore di Gaetano
Donizetti, che vanta i portenti infiniti del suo specifico «simpatico,
prolifico, che muove i paralitici, spedisce gli apoplettici, gli
asmatici, gli asfittici, gli isterici, i diabetici».
Addirittura a
fine Cinquecento si pubblicavano trattati per mettere in guardia le
persone dai finti dottori. Li chiamavano con disprezzo “catedratici di
nuove scienze”. Il celebre medico romano Scipione Mercuri scrive in
quegli anni un libro intitolato De gli errori popolari d’Italia, in cui
dedica un intero capitolo agli imbrogli «che si commettono contro gli
ammalati in piazza». Perché era proprio nel luogo pubblico per
eccellenza che gli acchiappagonzi mietevano vittime fra ingenui e
babbei. E il suo contemporaneo Tommaso Garzoni, nel suo capolavoro La
piazza universale, censisce 544 mestieri nel mondo, di cui una buona
parte ha a che fare con truffe e raggiri.
Oggi la piazza
universale si è delocalizzata in internet. Dove i ciarlatani, fatti
fuori dalla cultura moderna, quella della scuola, della scienza e delle
università, si prendono la rivincita e viralizzano il web. Perché, se è
vero, come dice Edgar Morin, che la rete promuove una nuova coscienza
planetaria, è anche vero che almeno per ora la quantità d’informazione
disponibile online è inversamente proporzionale alla qualità. E rischia
di generare un nichilismo culturale che rende difficile distinguere il
vero dal falso.
Come ha mostrato il sociologo francese Gérald
Bronner, la nostra sta diventando la democrazia della credulità. Perché
dove la gerarchia dei saperi frana e il principio di autorevolezza si
polverizza, spopolano le spiegazioni semplici e soprattutto monocausali
di una realtà che è invece sempre più complessa e sfaccettata come
quella contemporanea. Soluzioni consolatorie che ci danno la sensazione
rassicurante di capirci qualcosa, di saperla lunga, di non farci
infinocchiare dalle versioni ufficiali dei fatti. Che si tratti di Ogm,
vaccini, sicurezza alimentare, biologico, coloranti, pesticidi, il
minimo comune denominatore è una sindrome da complotto che provoca una
sfiducia crescente verso tutte le autorità, scientifiche o politiche.
Siamo sempre più bipolari. Per un verso malfidenti verso i vari esperti,
ricercatori, professori, giornalisti o studiosi, e per l’altro pronti a
prestar fede a tutte le voci che corrono in rete. Così il tessuto
collettivo dell’attendibilità e della credibilità appare sempre più
compromesso. Al punto che in Francia, dove la scienza è una fede e la
ragione una religione, secondo uno studio recente, il 43% delle persone
pensa che la ricerca comporti più rischi che benefici. E da un sondaggio
Gallup di quest’anno emerge che la fiducia dei cittadini statunitensi
nelle istituzioni è passata da un imponente 80% degli anni Sessanta a un
allarmante 10% di ora.
Politica, religione, giornali,
televisione, scuola, università, industria. Non si salva nessuno. Stanno
peggio solo i rivenditori di auto usate. E cresce esponenzialmente il
pregiudizio antiscientifico, soprattutto su temi che toccano tasti
sensibili come la salute. Il caso più emblematico è quello dei vaccini
che, dopo averci liberati da tanti mali, vengono additati come la causa
di altrettanti mali. Una irragionevole demonizzazione che inizia nel
1998, quando viene, incautamente, pubblicato su
Lancet uno
sciagurato articolo, rivelatosi poi fraudolento, dell’ex medico Andrew
Wakefield, che sosteneva l’esistenza di una correlazione tra diffusione
del vaccino trivalente Mmr e aumento dell’autismo. Era tutta una bufala.
Ma nonostante le smentite del General Medical Council britannico e la
sconfessione della stessa
Lancet, che ha ritirato lo scritto, le
vaccinazioni sono crollate. In realtà pare che il vero scopo della
pubblicazione fosse quello di lucrare su un vaccino alternativo
brevettato dal novello Dulcamara. Oltretutto, la Court of Protection
inglese ha accertato che la mamma di uno dei bambini autistici
all’origine della vicenda ha mentito.
Ma l’ineffabile Wakefield è
tornato di recente agli onori della cronaca con il documentario
autocelebrativo «Vaccinati: dall’insabbiamento alla catastrofe», che ad
aprile avrebbe dovuto inaugurare il Tribeca Film Festival di New York,
diretto da Robert De Niro, comprensibilmente sensibile al tema in quanto
padre di un ragazzo autistico. Ma la bufala è stata smascherata da un
gruppo di scienziati e De Niro ha cancellato il film. Eppure il rischio
vaccino per molti è diventato un dogma 2.0. Anche perché sono in tanti a
pensare che dietro ci siano solo gli interessi delle case
farmaceutiche. Così una mappazza di false evidenze e di pseudo
conoscenze rischia di anabolizzare il web rendendo difficile distinguere
tra verità e impostura. A tutti noi il compito di civilizzare la rete,
facendola uscire dallo stato di natura digitale.