mercoledì 20 luglio 2016

Repubblica 20.7.16
L’ultimo schiaffo del Cairo “No a estradizioni e tabulati”
L’Egitto definisce “incostituzionali” le richieste delle autorità italiane che indagano sulla morte del ricercatore: “L’ennesimo depistaggio”
di Giuliano Foschini

Questa volta la mossa è doppia: un depistaggio, con una falsa richiesta di estradizione da parte dell’Italia. E il rifiuto di consegnare tabulati telefonici e immagini delle telecamere, a conferma che il paese di Al Sisi non ha alcuna intenzione di collaborare con la procura di Roma. L’Egitto torna a parlare del caso Regeni e lo fa in maniera ufficiale: ieri il deputato Tarek al Kholi, segretario della commissione Esteri della Camera egiziana, ha chiuso tutte le porte alla collaborazione con le autorità giudiziarie italiane, definendo «incostituzionali » le richieste avanzate dalla procura di Roma nell’ambito del fascicolo sul ricercatore italiano ucciso al Cario. Al Kholi non parlava a titolo personale ma al termine «della riunione della commissione parlamentare trilaterale egiziana (Esteri, Difesa e Diritti umani) con i rappresentanti del ministero dell’Interno, della Giustizia e della Sicurezza nazionale ». In un comunicato, Al Kholi ha detto che i rappresentanti dei ministeri «hanno informato le tre commissioni del loro rapporto con gli investigatori italiani e della loro piena collaborazione con la parte italiana», spiegando però che «la riunione ha svelato quelle che sono le vere richieste italiane: i tabulati telefonici, l’estradizione di tre persone e l’acquisizione delle immagini di alcune telecamere a circuito chiuso». Tre richieste, secondo al Kholi, che non possono però essere esaudite: «Le tre commissioni - ha scritto nella nota - hanno confermato il rifiuto delle autorità egiziane a rispondere alle domande italiane, in quanto ciò è vietato dalla Costituzione ». Ma è proprio attorno a queste parole che nasce il giallo. Perché, se i tabulati e le immagini delle telecamere facevano parte delle richieste italiane, mai da Roma hanno chiesto l’estradizione di alcuno. Da dove nasce quindi questa dichiarazione? «Probabilmente si tratta dell’ennesimo depistaggio politico come ce ne sono stati tanti dall’inizio di questa inchiesta» spiega una fonte vicina alle indagini. Che non è affatto sorpresa del diniego dei tabulati. Mentre infatti le autorità egiziane hanno inviato senza troppi problemi i primi registri telefonici, stanno facendo grossa resistenza su quelli che potrebbero svelare il grande falso: la messinscena della Polizia con l’assassinio di cinque pregiudicati locali accusati di aver sequestrato e ucciso Giulio. E a casa dei quali sono stati trovati poi i documenti dell’italiano. È proprio su quel passaporto che l’Egitto rischia tutto: chi li ha portati a casa dei banditi? La Polizia come ha raccontato la moglie di uno di loro?
Non a caso né sulle dichiarazioni dei parenti dei cinque né sull’anonimo giunto all’ambasciata di Berna di cui ha dato conto Repubblica nelle scorse settimane, gli egiziani hanno intenzione di offrire alcuna risposta agli investigatori italiani. Che non si arrendono e cercano altre strade per arrivare alla verità. Purtroppo però, nonostante la collaborazione dell’Fbi e delle autorità americane, non sono arrivate buone risposte dagli Stati uniti ai quali avevano chiesto aiuto per individuare chi, un mese dopo l’omicidio di Regeni, aveva avuto accesso al suo account Gmail. Il dato indicava un ingresso da un dispositivo mobile in Egitto ma, stranamente, non è possibile risalire all’esatta collocazione. O almeno fino al momento non si è riusciti arrivare a una reale codifica.
Accanto alla vicenda giudiziaria c’è poi quella politica: alcune associazioni di imprese che lavorano in Egitto hanno chiesto al nostro paese di raffreddare la crisi e inviare l’ambasciatore. Che, almeno per il momento, resta però a Roma.