Repubblica 20.7.16
Brexit, Nizza e Ankara. La fatica di capire
Un intero universo concettuale sta andando in pezzi Nessuno dei parametri validi nel Novecento funziona più
di Roberto Esposito
L’autore è professore di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa
PERCHÉ
facciamo così fatica a capire quel che sta accadendo? Forse perché i
fatti di queste settimane, dalla Brexit alla Turchia fino al terrore di
Nizza e a quello, recentissimo, in Germania, così diversi tra loro,
nella portata, negli effetti e nelle cause, hanno un punto in comune: “i
fatti” di queste settimane non sono più quelli di una volta. L’idea
stessa di “fatto” o di avvenimento è tale perché riusciamo ad inserirla
in una cornice di pensiero più o meno consolidata.
Ora quella
cornice che ha retto la seconda parte del Novecento non c’è più.
L’Inghilterra che ha salvato l’Europa decide di lasciarla, possiamo
assistere in Turchia a quello che è stato un golpe democratico contro
una democrazia autoritaria, possiamo vedere dei terroristi che non hanno
più un rapporto forte con un’ideologia, folle e totalitaria, ma la
prendono a prestito, in leasing, per poche settimane, mettendo in gioco
il loro corpo, la loro vita.
Ad essere più sotto attacco è quello
che abbiamo chiamato a lungo “vecchio mondo” — Europa e Medio Oriente,
da Lisbona ad Ankara, passando per Parigi e per Londra. Certo, anche in
America il nuovo potrebbe presto annunciarsi con il profilo, non proprio
rassicurante, di Trump. Ma finora i sussulti che la scuotono sembrano
venire da lontano, dalle viscere del secolo scorso. Dall’Alabama a
Dallas, in una storia che ha visto alternarsi Ku-Klux-Klan e Black
Panthers, segregazione razziale e Martin Luther King. Sono fantasmi di
ritorno di un antico conflitto, apparentemente sopito, ma in realtà
sempre strisciante sotto le ceneri dell’integrazione.
In Europa,
invece, con la sua propaggine anatolica, il mutamento ha le sembianze di
un vero cataclisma. A collassare, prima dei confini geopolitici, sono
le categorie che hanno segnato in profondo l’intero orizzonte della
modernità fino a ieri. Proviamo a mettere in fila gli eventi: Brexit,
Nizza e Turchia sono le tre onde d’urto che, a distanza di qualche
giorno, vanno sconquassando il paesaggio storico e mentale che abbiamo a
lungo percepito come nostro.
Brexit. È vero che il Regno Unito
non è mai stato il Paese più europeista. È vero che la sua opzione
atlantica è antica quanto l’opposizione simbolica tra terra mare. È
vero, insomma, che la Gran Bretagna non ha mai smesso di sentirsi Isola —
fieramente autonoma rispetto al Continente. Ma è anche vero che il
vascello che negli anni Quaranta del secolo scorso ha salvato l’Europa
dai suoi demoni interni rompe gli ormeggi, salpando verso una
destinazione ignota. Ignota per l’Europa, che perde un suo pezzo per
molti versi insostituibile, insieme alla sua maggiore potenza militare. E
ignota anche al suo equipaggio, che ancora guarda, smarrito, la terra
da cui si stacca senza sapere a quale porto approdare.
Nizza.
Certo, si è trattato dell’ultimo colpo di una deriva terroristica in
atto da almeno quindici anni. Ma anche di un salto di qualità nella
furia distruttiva che lascia senza parole. Non solo per la ferocia
ottusa del terrorista, ma anche per l’anomalia della sua figura.
Inassimilabile sia a quella, ormai scomparsa, del partigiano, sia a
quella del soldato della fede. Diversa da l’una e dall’altra, la sua
sagoma si perde nell’insensatezza assoluta della morte per la morte. Se
si pensa che l’attentatore ha fatto un numero di vittime pari a quelle
prodotte dal gruppo di fuoco organizzato al Bataclan con un camion
noleggiato per poche centinaia di euro, lo scarto appare netto.
L’escalation nichilistica senza paragoni. Tale da rendere ancora più
spettrale il panorama che abbiamo di fronte e più indistinto il nemico
da combattere.
Infine la Turchia. Nel golpe dell’altra notte —
vero o falso che sia: le due cose nella società dei nuovi media si
accostano sempre più — va in frantumi una categoria alla quale, almeno
in Occidente, eravamo particolarmente affezionati — quella di democrazia
liberale. Dobbiamo abituarci a pensare che questi due termini non vanno
necessariamente insieme. Che può esistere, a est del Bosforo, una
democrazia illiberale e anzi decisamente autoritaria. Non troppo
diversa, del resto, da quella russa con cui da tempo è in concorrenza
nella stessa area. Dobbiamo constatare che una tale democrazia può
inglobare, funzionalizzandolo al potere del suo capo, perfino un putsch
militare. Il quale anche, del resto, si è richiamato alla democrazia.
Come democratici sono presentati dai seguaci di Erdogan i mezzi
repressivi impiegati in queste ore alla luce del sole e nel buio dei
sotterranei.
Ce n’è abbastanza per dire che un intero universo
concettuale sta andando in pezzi. Nessuno dei parametri validi fino al
secondo Novecento funziona più nella globalizzazione e nella politica
della vita e della morte. Dove i corpi umani sono usati come bombe
esplosive e il web appare l’unico spazio praticabile del confronto
pubblico. Tutto ciò non può non allarmare. Ma, se vogliamo rispondere
efficacemente alla sfida in atto, dobbiamo attrezzarci a modificare
rapidamente il modo di rapportarci al nostro tempo — di affrontare le
sue minacce e di adoperare le sue risorse.