Repubblica 1.7.16
Il rischio monopolare
L’Italicum consegna il comando a un gigante contornato da una folla di nanetti
di Michele Ainis
LE
ISTITUZIONI sono come le camicie: vanno confezionate su misura per il
corpo che dovrà indossarle. Se la camicia è troppo stretta, saltano i
bottoni. È questa la lezione che ci impartisce Brexit: l’Europa ha
regole che l’allontanano dai popoli, sicché i popoli se ne allontanano.
Come peraltro era già accaduto nel 2005, quando un doppio referendum —
in Francia e in Olanda — respinse una Costituzione europea vergata con
la penna d’oca del burocrate. Perché le buone leggi, diceva Montesquieu,
non sono nuvole staccate dalla terra. No, dipendono dal carattere dei
popoli, dalle loro tradizioni, dalla geografia del territorio che li
ospita, perfino dal clima. Sono figlie d’un vissuto collettivo, devono
perciò riflettere le continue evoluzioni della vita.
Questa
lezione ci riguarda, ci tocca da vicino. Come italiani, non soltanto
come europei. Quali istituzioni stiamo progettando? E in che guisa
s’adattano al nostro corpaccione? Dopo le ultime elezioni comunali, con
il successo del Movimento 5 Stelle, abbiamo scoperto d’avere un corpo
tutto nuovo. Da qui un concerto d’espressioni sbalordite, o più spesso
allarmate. Ma la notizia è che non c’è notizia.
I 5 STELLE erano
già il primo partito alle politiche del 2013, benché il Pd — in alleanza
con Sel — si fosse messo in tasca il premio di maggioranza confezionato
dal Porcellum. E al 2013 risale per l’appunto la nuova geografia
politica italiana, sempre confermata nelle elezioni successive: tre
grandi minoranze, armate l’una contro l’altra. Destra, sinistra, 5
Stelle, separate da pochi punti percentuali. Dunque un sistema
tripolare, dove oltretutto ciascun polo inalbera concezioni opposte
della democrazia. Monarchica ( sia pure con un re in declino) la destra;
presidenzialista la sinistra; radicale quella dei grillini.
Siamo
insomma nell’era del corvo a tre zampe, l’uccello dorato che in
Giappone come in Cina rappresenta il sole. Siamo altresì nel terzo tempo
delle nostre istituzioni. E allora per disegnare il futuro dobbiamo
muovere dai disegni del passato. Il primo tempo coincise con una forma
di governo a «multipartitismo estremo » , per usare la formula di
Leopoldo Elia: una frammentazione che aveva il proprio specchio nel
proporzionale, nella centralità del Parlamento allevata dai regolamenti
parlamentari del 1971, nella conventio ad excludendum che impediva ogni
ricambio nelle stanze del governo. Quel sistema durò per 45 anni, poi
venne Tangentopoli, con la decapitazione di tutti i vecchi partiti; e
nacque un’Italia bipolare. Con indosso un’altra camicia, un’altra legge
elettorale, maggioritaria anziché proporzionale. Il maggioritario sancì
il primato dell’esecutivo sulle assemblee legislative, permise
l’alternanza al governo del Paese, ma al contempo fu spietato con i
vinti, attraverso lo spoil system. L’epoca in cui la Iotti o Ingrao
sedevano sullo scranno più alto di Montecitorio, in cui l’opposizione
era anche posizione, si chiuse come una saracinesca.
E adesso? Le
asprezze del maggioritario diventano ancora più ruvide, più dure. La
riforma costituzionale sottrae alle minoranze lo spazio di manovra del
Senato. E l’Italicum consegna lo scettro del comando a un gigante
contornato da una folla di nanetti. Perché frantuma le opposizioni,
consentendo l’accesso in Parlamento a chiunque rastrelli il 3% dei
consensi. Perché rende autosufficiente il vincitore, dato che il premio
di maggioranza va alla lista, non alla coalizione. E perché infine chi
perde il ballottaggio non ottiene nessun premio di consolazione, col
risultato che qualche voto in meno può costare la metà dei seggi. In
breve, abbiamo inventato un maggioritario al cubo. In un’altra stagione,
magari potrebbe funzionare. Qui e oggi, è meglio ripensarci, come
chiede un fronte sempre più esteso di parlamentari, anche all’interno
del Pd. Infatti nessuna legge elettorale è superiore Urbi et Orbi:
dipende dal contesto, non dal testo. Ma in questo caso il testo calza a
pennello su un sistema monopolare, quando in Italia i poli sono ormai
diventati tre. Attenzione, c’è il rischio che il corpo strappi la
camicia.