Repubblica 18.7.16
Statali
Guadagni maggiori ai più anziani. Per ogni anno di età la gratifica si alza del 6%. Ecco cosa dicono i “piani di performance”
La denuncia di Banca d’Italia. Riunioni superflue e obiettivi facili ai dirigenti pubblici 800 milioni di premi
di Marco Ruffolo
Quand’è
che un dirigente dei Beni Culturali riceverà un premio per i risultati
raggiunti? Lo prenderà quando contribuirà insieme ai suoi colleghi a
garantire la tutela di un bene archeologico? No, quando avrà partecipato
a un certo “numero di riunioni”. Quand’è che un dirigente dei vigili
urbani di Roma si troverà una busta paga più ricca per maggiore
produttività? Quando i suoi uomini avranno fatto tante multe in più alle
auto in seconda fila così da scoraggiare quell’imperante malcostume?
No, basterà dimostrare di aver vigilato “su specifici itinerari e
incroci stradali” per agevolare la mobilità. Obiettivo quanto mai
generico. E i dirigenti del Lavoro? Riceveranno un premio quando
riusciranno finalmente a far partire l’agenzia che dovrebbe incrociare
domanda e offerta di impieghi? No. Lo avranno quando riusciranno a
scrivere un certo numero di “relazioni”. Mentre al ministero
dell’Economia sarà sufficiente “trasmettere entro 5 giorni le delibere
del consiglio della giustizia tributaria alla direzione”, procedura per
la quale basta una mattinata e forse anche meno.
Questo è quanto
si legge nei “piani di performance” che oggi le pubbliche
amministrazioni sono tenute a mettere on line. Ed è in questa palude
procedurale, indifferente ai bisogni dei cittadini, che affogano tutti i
tentativi di riforma della macchina pubblica. I cui obiettivi sono così
astratti e autoreferenziali che alla fine i premi per averli raggiunti
li prendono tutti, nessuno escluso. Sono quasi 800 milioni di euro che
ogni anno finiscono nella busta paga di 48 mila dirigenti pubblici senza
o quasi alcuna giustificazione reale. In questo appiattimento generale a
rimetterci sono i tanti operatori che danno l’anima senza ricevere
alcun riconoscimento.
E’ dai primi anni ’90 che i governi provano
inutilmente a legare quei premi ai risultati effettivi, visibili dai
cittadini. Niente da fare. Ora Renzi e la Madia hanno deciso di
riprovarci. Qualche settimana fa sono stati riformati gli strumenti che
serviranno a valutare l’operato dei nostri burocrati: una commissione
(l’ennesima) all’interno del Dipartimento della funzione pubblica e una
serie di giurie chiamate in ciascuna amministrazione a dare le pagelle.
Si chiamano Oiv, “organismi indipendenti di valutazione”. E in realtà
esistono già, avendoli inventati l’ex ministro Brunetta. La novità è che
per garantirne l’autonomia, i loro componenti faranno parte di un albo
nazionale.
A CHI IL CONTROLLO?
Tutto però ha il sapore di un
inconcludente déjà vu. In tutti questi anni un incarico così cruciale
come quello di giudicare l’operato di chi ci amministra è rimbalzato di
autorità in autorità, come fosse una patata bollente di cui disfarsi il
più rapidamente possibile. Prima la Civit, nel 2009, un organismo in
grado solo di verificare la correttezza degli adempimenti formali. Poi
le competenze passano inspiegabilmente all’Autorità anti- corruzione di
Cantone. Come se la valutazione dei dirigenti avesse solo implicazioni
patologiche. Dal 2014 si cambia ancora e tutto viene messo nelle mani
del Dipartimento della funzione pubblica. E da lì ora si parte per
rimettere in piedi il sistema. Forse già quest’anno, insieme ai rinnovi
contrattuali, arriverà il testo unico del pubblico impiego.
Ma
perché questa volta dovrebbe funzionare? Che cosa è mancato finora? E
soprattutto cosa ha consentito a quel kombinat di interessi
autoconservativi fatto di burocrati sospettosi, dipendenti impauriti e
sindacalisti corporativi di stravolgere il senso delle riforme che si
sono invano succedute negli ultimi vent’anni? È mancata una cosa tanto
semplice quanto fondamentale: l’indicazione da parte del potere politico
degli obiettivi da raggiungere. Come si fa infatti a valutare l’operato
dei dirigenti se non si sa cosa devono fare?
FACILI TRAGUARDI
Finisce
così che quegli obiettivi, in base ai quali andrebbero calcolati i
premi, i manager pubblici se li danno da soli. Le cose da fare non sono
più i servizi da offrire ai cittadini ma una serie di procedimenti
formali di facile realizzazione: dalle riunioni tenute ai documenti
trasmessi, dagli atti emanati ai report presentati.
Il risultato è
una abbondante pioggia di prebende per tutti. Ce ne dà un’idea un
recente rapporto della Banca d’Italia, curato da Roberta Occhilupo e
Lucia Rizzica. I redditi di risultato sono una bella quota della
retribuzione dei dirigenti: il 9% nei ministeriali di prima fascia, il
12 in quelli di seconda, il 16 in quelli delle Regioni a statuto
ordinario. In genere vengono dati quasi nella stessa misura a tutti i
manager. Al Tesoro tutti i dirigenti di seconda fascia ricevono 6.900
euro. Alla Salute 11 “manager” di prima fascia su 12 prendono 32 mila
euro. Ma in qualche caso non sporadico c’è una certa differenziazione.
Riceve di più chi ha più competenze tecniche? Chi ha più esperienza? Chi
conosce meglio le lingue? Chi possiede un titolo post-laurea? Niente
affatto. Prende di più chi è più anziano. Solo l’età – denuncia il
rapporto di Bankitalia – è all’origine della diversa distribuzione di
premi, quando c’è. «Ogni anno di età in più determina un aumento del
premio del 6%».
Dal governo arrivano nuovi annunci: questa storia
dei premi ingiustificati finirà – dicono al ministero della Pubblica
amministrazione. «La prima cosa che faremo - spiegano - è indicare
obiettivi chiari ai dirigenti. Si chiameranno “obiettivi della
Repubblica”. Chi fallisce vedrà cancellato il suo premio. E in casi
gravi rischierà il posto». Ma nel frattempo, come saranno scelti i
valutatori, gli Oiv? Qui il rischio è che la loro autonomia tanto
sbandierata resti solo sulla carta, perché il recente regolamento dà
alle singole amministrazioni il potere di nomina, sia pure all’interno
dell’albo nazionale. Come dire: i controllati che scelgono i
controllori.
Insomma, la nuova sfida alla burocrazia parte in
salita. E non riguarda solo lo scardinamento degli attuali premi a
pioggia. Con il ruolo unico e l’incarico a tempo per i dirigenti e le
procedure di mobilità per i dipendenti (tutti temi dei prossimi decreti)
il governo tenta di intaccare quell’impasto di immobilismo e
corporativismo che indebolisce il senso di responsabilità e di equità
nel lavoro pubblico. Lo fa con nuove leggi. Eppure, almeno su alcuni
aspetti fondamentali come quello della mobilità, le leggi esistono già.
Ma nessuna procedura o quasi è mai stata avviata, con l’eccezione delle
Province, per causa di forza maggiore.
MOBILITÀ VANTAGGIOSA
In
realtà, una certa mobilità c’è stata, ma così come è avvenuto per i
premi di risultato, è stata teleguidata dagli stessi interessati e
quindi finalizzata a vantaggi personali e non a una migliore
distribuzione della forza lavoro. Così non pochi di dipendenti (dai
vigili urbani agli infermieri, dagli agenti penitenziari agli
insegnanti) sono riusciti, grazie a certificati medici spesso generosi, a
risultare inidonei al contatto con il pubblico o con la strada, e ad
essere trasferiti dietro una scrivania. La stessa licenziabilità dei
dipendenti nei casi più gravi è rimasta per lo più lettera morta.
E’
vero: è passato da poco il decreto che consente di sospendere entro 48
ore i furbetti del cartellino colti in flagrante e di cacciarli
definitivamente dopo un iter di 30 giorni. Ma per gli altri reati? Il
contratto dei dirigenti di Regioni e Enti locali tuttora in vigore
prevede solo la sospensione dal servizio per chi minaccia, diffama, o
molesta sessualmente o ruba sul posto di lavoro. E si tratta di reati
spesso più gravi della falsa attestazione di presenza. Il licenziamento
può scattare solo se si apre il procedimento penale o in caso di
recidiva.
Dai premi ai licenziamenti, dalla mobilità agli
indicatori di efficienza: la conclusione che si trae da tutta questa
storia è che anni di colossale produzione legislativa non hanno impedito
che la macchina pubblica andasse avanti senza seguire quelle norme ma
secondo la legge del più furbo. Il governo lo sa bene: per intaccare
quel kombinat di interessi che la guida, per condurre in porto sana e
salva la madre di tutte le riforme, ci vorrà molto più di qualche
decreto delegato.
Dalla valutazione alla licenziabilità: così sono
naufragate le riforme. Ora il governo ci riprova Ai vigili urbani
incentivi solo per il controllo su “specifici itinerari e incroci
stradali”