Repubblica 17.7.16
Nella mente delle vittime
“Incubi e sensi di colpa così li aiutiamo a capire”
di Marco Preve
NIZZA. «Il camion li insegue ancora, noi li aiutiamo a fermarlo».
In
quei due chilometri di corsa omicida Mohamed Lahouaiej Bouhlel ha
ucciso 84 persone e ne ha ferite in maniera più o meno grave altre
cento, ma il suo camion bianco continua a braccarne ancora tante. Chi
solo di notte, chi durante tutte le ore del giorno.
Sono
tormentate dal fatto di aver scelto, dal gesto istintivo compiuto in un
istante, per aver avuto in quella frazione di secondo la consapevolezza
della propria decisione: spingere o trascinare verso la salvezza una
persona invece di un’altra.
Sono quasi 500 le vittime “bianche”
della tragedia di Nizza e il loro pronto soccorso è una palazzina
costruita nel 1937 e affacciata sulla Promenade che ospita il Cum,
Centre universitaire méditerranéen. Il suo Amphitheatre intitolato ad un
politico della prima metà del secolo scorso, Anatole de Monzie,
foderato di velluto rosso e boiserie scure fino a giovedì notte aveva
ospitato solo conferenze, convegni e le sedute della Città
metropolitana. Ma la notte del 14 luglio è diventato per ragioni
logistiche il centro di sostegno psicologico.
«Questa struttura è
nata con l’idea base di assolvere diverse funzioni - spiega la
direttrice Elisabeth Martin - e siamo stati pronti a trasformarci
giovedì sera quando Croce Rossa e Protezione civile ci hanno scelto come
centro di accoglienza psicologica. Non pensavamo che sarebbe venuta
così tanta gente ma è anche vero che la risposta degli psicologi del
territorio è stata formidabile: decine e decine sono venuti qui per
prestare la loro opera».
Caroline Bonhomme è una degli oltre cento
psicologi che si sono offerti volontariamente per terapie di emergenza.
«No - spiega - non é la paura che possa di nuovo accadere che ha
portato al Cum tutte queste persone. È il senso di colpa. La maggior
parte infatti sono dei testimoni. Assediati dall’angoscia di non aver
fatto abbastanza. Gli adulti soprattutto, perché i più giovani accusano
meno il senso di colpa. I grandi invece non riescono a conviverci. Un
signore di 50 anni è riuscito a spingere la moglie fuori dalla
traiettoria del camion ma non ha potuto evitare che venisse investita
una signora che era accanto a loro e che lui ha avuto la percezione di
poter salvare. Una ragazza sui trenta non riesce a dimenticare che
mentre con il fidanzato si lanciavano nell’aiuola una mamma con un bimbo
veniva trascinata via. Le persone che stanno male vengono da sole, con
la famiglia oppure a gruppi di amici». Il disagio si manifesta in molti
modi. «Un signore - continua la psicologa nizzarda- mi ha detto che
rivedeva sempre la scena dell’investimento ma non riusciva assolutamente
a ricordare il colore del camion. Una cosa banale, priva di importanza
ma per lui era diventata un’ossessione, la ragione di un incubo perenne.
Una donna sentiva il bisogno di tornare sul punto dove aveva visto
falciare un suo amico ma non trovava la forza. Abbiamo cercato di
ridargliela. Il trauma per quasi tutti loro è in fondo il senso
dell’irreale che assume questa vicenda. Il nostro compito, attraverso
l’esposizione orale è cercare di restituirli al presente, staccarli da
quei minuti della notte del 14 luglio, non costringerli a dimenticare ma
far loro capire che il camion si è fermato».
Se gli adulti hanno
attraversato la soglia del Cum dopo aver maturato la consapevolezza
della propria sofferenza, per i bambini e gli adolescenti è stato
diverso. Su una parete dell’austero Cum è affisso un foglio bianco :
”Coin jeux premier etage”, zona giochi primo piano. «La loro reazione -
spiega la dottoressa - è stata diversa rispetto a quella degli adulti.
Choc puro, paura, insicurezza. Quasi tutti hanno manifestato il proprio
malessere con il silenzio. Alcuni hanno smesso di parlare. Sono arrivati
assieme ai genitori, per metterli a loro agio, specie i più piccoli,
abbiamo creato una stanza di giochi. Il nostro è stato un primo aiuto,
importantissimo, ma è probabile e auspicabile che sia gli adulti che i
ragazzi proseguano queste terapie di sostegno».
Sono quasi passati
due giorni, la Promenade è stata riaperta, i primi bagnanti tornano
sulla spiaggia, c’è chi corre, ma sull’altro lato della strada una donna
in lacrime sorretta dal marito varca il cancello del Cum. «Non so -
dice la direttrice Martin - quando torneremo ad essere “solo” il Cum,
vedo che troppi hanno ancora bisogno di aiuto».