Repubblica 16.7.16
George Steiner
“Guai a chi dice che le utopie non sono altro che idiozie”
Freud è stato uno dei grandi mitologi della storia È finzione
La scuola. I giovani che non hanno tempo. La politica e i populismi Parla il grande critico 
“Ciò che mi turba è la paura della demenza Ogni giorno faccio esercizi di memoria”
“I mezzi elettronici stanno retrocedendo. La gente preferisce il libro tradizionale”
intervista di Borja Hermoso
In
 principio fu un fax. Nessuno rispose a questo primo, archeologico 
tentativo. Poi una lettera (sì, quelle reliquie che consistono in una 
carta scritta e infilata dentro una busta). «Non le risponderà, è malato
 », mi aveva avvisato una persona che lo conosce bene. Dopo pochi giorni
 arrivò la risposta. Per posta aerea, con il timbro della Royal Mail e 
il profilo della regina di Inghilterra. Sull’intestazione c’era scritto:
 Churchill College, Cambridge. Il breve testo recitava così: «Caro 
signore, l’88° anno e una salute incerta. Ma la sua visita sarebbe un 
onore. Con i miei migliori auguri, George Steiner».
Due mesi dopo, il
 vecchio professore disse «sì», mettendo provvisoriamente fine alla sua 
proverbiale avversione alle interviste. Il cattedratico di letteratura 
comparata, il lettore di latino e greco, l’eminenza di Princeton, 
Stanford,
Ginevra e Cambridge; il figlio di ebrei viennesi che 
fuggirono dal nazismo prima a Parigi e poi a New York; il filosofo delle
 cose di ieri, di oggi e di domani; l’autore di libri fondamentali del 
pensiero moderno, della storia e della semiotica, come Errata, La 
nostalgia dell’assoluto, Una certa idea di Europa, Tolstoj o Dostoevskij
 o La poesia del pensiero ci ha aperto le porte della sua stupenda 
casetta di Barrow Road.
Professor Steiner, come va la salute?
«Oooh,
 molto male, purtroppo. Ormai ho 88 anni e non va bene, però non 
importa. Ho avuto e ho molta fortuna nella vita e ora va male, anche se 
qualche bella giornata ancora mi capita».
Quando si sta male, è 
inevitabile sentire nostalgia dei giorni felici? Lei fugge dalla 
nostalgia o la nostalgia può essere un rifugio?
«No, l’impressione 
che hai è di aver tralasciato di fare molte cose importanti nella vita. E
 di non aver capito del tutto fino a che punto la vecchiaia rappresenta 
un problema, questo indebolimento progressivo. Quello che mi turba 
maggiormente è la paura della demenza. Intorno a noi l’Alzheimer fa 
strage. Io, per lottare contro questo rischio, tuti i giorni faccio 
esercizi di memoria e di attenzione».
È ottimista riguardo al futuro della poesia?
«Enormemente
 ottimista. Viviamo una grande epoca di poesia, soprattutto fra i 
giovani. E ascolti una cosa: molto lentamente, i mezzi elettronici 
stanno cominciando a retrocedere. Il libro tradizionale ritorna, la 
gente lo preferisce al Kindle… preferisce prendere un buon libro di 
poesia cartaceo, toccarlo, odorarlo, leggerlo. Però c’è una cosa che mi 
preoccupa: i giovani non hanno più tempo… di avere tempo. 
L’accelerazione quasi meccanica delle routine vitali non è mai stata 
forte come oggi. E bisogna avere tempo per cercare tempo. E un’altra 
cosa: non bisogna avere paura del silenzio. La paura del silenzio nei 
bambini mi fa paura. Solo il silenzio ci insegna a trovare in noi 
l’essenziale».
Il rumore e la fretta… Non crede che viviamo troppo di fretta? Non stiamo educando i nostri figli con troppa fretta?
«Mi
 lasci allargare la domanda e dirle una cosa: stiamo uccidendo i sogni 
dei nostri bambini. Quando ero bambino, esisteva la possibilità di 
commettere grandi errori. L’essere umano li ha commessi: il fascismo, il
 nazismo, il comunismo… Ma se non hai la possibilità di commettere 
errori quando sei giovane non diventerai mai un essere umano completo e 
autentico. Gli errori e le speranze infrante ci aiutano a completare lo 
stadio adulto. Ci siamo sbagliati con tutto, con il fascismo e con il 
comunismo, e a mio parere anche con il sionismo. Ma è molto più 
importante commettere errori che cercare di comprendere tutto fin 
dall’inizio e in un colpo solo. È drammatico avere chiaro a 18 anni che 
cosa devi e non devi fare».
Lei parla dell’utopia e del suo 
contrario, la dittatura della certezza… «Molti dicono che le utopie sono
 delle idiozie. Ma saranno comunque idiozie vitali. Un professore che 
non consente agli alunni di immaginare utopie e di sbagliarsi è un 
professore pessimo».
Perché l’errore è visto in modo tanto negativo?
«L’errore
 è il punto di partenza della creazione. Se abbiamo paura di sbagliare 
non potremo mai affrontare le grandi sfide, assumerci i rischi. L’errore
 tornerà? È possibile, ci sono alcuni indizi in tal senso. Ma essere 
giovane oggi non è facile. Che cosa gli stiamo lasciando? Nulla. Neanche
 l’Europa, che ormai non ha più nulla da proporgli. Il denaro non ha mai
 fatto sentire così forte la sua voce come adesso. L’odore del denaro ci
 soffoca, e questo non ha nulla a che vedere con il capitalismo o il 
marxismo. Quando io ero studente, la gente voleva diventare 
parlamentare, funzionario pubblico, professore… oggi perfino i bambini 
sentono l’odore dei soldi e l’unico obbiettivo ormai sembra sia quello 
di diventare ricchi. E a questo si aggiunge l’enorme indifferenza dei 
politici verso chi non ha soldi. Per loro, siamo solo dei poveri idioti.
 E questo Karl Marx lo vide con largo anticipo. Invece, né Freud né la 
psicoanalisi, nonostante tutta la loro capacità di analisi dei caratteri
 patologici, sono riusciti a capire qualcosa di tutto ciò».
La psicoanalisi non le sta molto simpatica.
«La
 psicoanalisi è un lusso della borghesia. Per me la dignità umana 
consiste nell’avere dei segreti, e l’idea di pagare qualcuno perché 
ascolti i tuoi segreti e le tue cose intime mi disgusta. È come la 
confessione, ma con l’assegno di mezzo. Freud è uno dei grandi mitologi 
della storia. Però è finzione. Era un romanziere straordinario».
Torniamo
 alla questione del potere del denaro. Ha una spiegazione valida, dal 
punto di vista filosofico, del perché gli elettori di Italia e Spagna 
abbiano deciso in passato e decidano ancora di mettere al potere partiti
 politici macchiati dalla corruzione?
«Perché c’è un’enorme 
abdicazione della politica. La politica perde terreno in tutto il mondo,
 la gente non ci crede più, e questo è molto pericoloso. Aristotele ci 
dice: “Se non vuoi stare nella politica, nell’agorà pubblica, e 
preferisci restartene nella tua vita privata, poi non lamentarti se 
vieni governato da banditi”. Io provo vergogna di aver goduto di questo 
lusso privato di studiare e scrivere e di non aver voluto entrare 
nell’agorà. Trionfano per ogni dove il regionalismo, il localismo, il 
nazionalismo… torna il campanile. Quando vedi che uno come Donald Trump 
viene preso sul serio nella democrazia più complessa del mondo, tutto è 
possibile».
Come contempla un’ipotetica vittoria di Trump?
«Non 
succederà. Vincerà Hillary. Ma sarà una vittoria triste, perché questa 
donna è stremata, sfinita interiormente. E che mi dice di Putin? La 
violenza di uno come lui sembra tranquillizzare le persone che non 
credono più nella politica, le riconforta. Questo perché il dispotismo è
 il contrario della politica».
Lei fa differenze tra cultura «alta» e cultura «bassa», come fanno alcuni intellettuali di grido?
«Le
 dico una cosa: Shakespeare avrebbe adorato la televisione. Avrebbe 
scritto per la televisione. E io non faccio queste distinzioni. Quello 
che davvero mi rattrista è che le piccole librerie, i teatri di 
quartiere e i negozi di dischi chiudano. È vero che i musei sono ogni 
giorno sempre più pieni, le grandi mostre sono travolte da moltitudini 
di visitatori, le sale da concerto sono stracolme… perciò attenzione, 
perché questi processi sono molto complessi e diversi per poter emettere
 dei giudizi complessivi. Muhammad Ali era anche un fenomeno estetico. 
Era come un dio greco. Omero avrebbe compreso alla perfezione Muhammad 
Ali».
Una volta lei ha detto che si pentiva di non aver avuto il 
coraggio di lanciarsi nel mondo della creazione. È un rimpianto che la 
tormenta?
«In effetti sì. Ho fatto poesia, ma mi sono reso conto che 
quello che stavo facendo erano versi, e il verso è il più grande nemico 
della poesia. E ho detto anche — e qualcuno non me l’ha mai perdonato — 
che il più grande dei critici è minuscolo se lo si confronta con un 
qualsiasi creatore. Insomma, parliamo chiaro e non facciamoci illusioni.
 Io sono solo un postino, il postino del film. E sono molto orgoglioso 
di questo, di aver consegnato bene la posta a tanti, tantissimi alunni. 
Ma non facciamoci illusioni».
© El País / LENA, Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Fabio Galimberti
 
