il manifesto 16.7.16
Guerra civile: solidarietà operaia
1936-2016. Chi erano le brigate? Lavoratori di 53 nazioni riuniti in formazioni militari in appoggio al governo repubblicano
di Fulvio Lorefice
Come
ha scritto Eric Hobsbawm «la guerra di Spagna resta la sola causa
politica che, anche a considerarla retrospettivamente, mantiene la
purezza e la cogenza ideale che ebbe nel 1936». A scolpirla nella
memoria fu la più importante prova di solidarietà internazionale nella
storia del movimento operaio, le Brigate Internazionali: le formazioni
militari, composte da lavoratori di cinquantatré nazioni, che
combatterono in appoggio al governo repubblicano spagnolo.
Nonostante
siano passati ottant’anni ormai da quel fatidico 17 luglio la disputa
politica sulle ragioni della sconfitta spagnola non è mai cessata.
Alimentata da una floridissima memorialistica, nella quale può scorgersi
la passione e lo slancio dell’epoca, ha finito tuttavia per assumere
contorni romanzeschi. L’intero conflitto è stato ridotto infatti alla
contrapposizione guerra-rivoluzione, in seno al fronte repubblicano,
ignorando completamente i fattori esogeni. Un contributo alla
comprensione degli avvenimenti, suggeriva già trent’anni fa Luciano
Casali, può derivare dalla rilettura degli scritti di alcuni fra i più
avveduti dirigenti politici dell’epoca, come Berneri, Rosselli,
Togliatti e Nenni. Depurati dall’acrimonia di quegli anni possono
scorgersi temi e questioni, elaborati in seguito con la Resistenza: i
legami con le masse, la capacità di organizzarne la lotta, le forme
della partecipazione politica, la disamina dei rapporti di forza, la
definizione degli obiettivi di medio e lungo periodo. Ma la guerra di
Spagna va soprattutto inserita nelle relazioni internazionali
dell’epoca. Nel trittico della crisi dell’ordine di Versailles
rappresentò, infatti, la tavola centrale: lo spazio in cui più nitida si
fece la trama politica ordita dai fascismi, dopo l’occupazione
giapponese della Manciuria e l’annessione italiana dell’Etiopia.
Benché
le cause originarie del conflitto spagnolo fossero prevalentemente
nazionali lo svolgimento e la sua soluzione risentirono profondamente
della situazione internazionale. Decisivo fu quindi il meccanismo delle
alleanze costituitosi attorno ai contendenti: da una parte Germania,
Portogallo e Italia, dall’altra l’Unione Sovietica e il Messico. La
decisione delle principali potenze occidentali, coagulatesi attorno al
Comitato di Non-Intervento, di vietare la vendita di armi alle fazioni
in conflitto avvantaggiò i franchisti che non ebbero difficoltà a
procurarsele tramite i loro alleati, penalizzando il legittimo governo
impossibilitato ad organizzare un’efficace difesa. Il Comitato di
Non-Intervento, ebbe a scrivere l’ambasciatore statunitense in Spagna
Alexander Bowers, «fu una vergognosa truffa concepita con cinica
disonestà». Uomini e materiali, finché la guerra lo consentì, arrivarono
dall’Unione Sovietica il cui prestigio crebbe enormemente. Nel giro di
poche settimane su un fazzoletto di terra si ritrovarono così i più
validi dirigenti e quadri politico-militari che il movimento operaio
all’epoca esprimeva. Immediatamente si era posto infatti il problema
militare. Esiguo era il numero di alti ufficiali e di reparti delle
forze armate regolari che erano rimasti fedeli al governo legittimo, il
Quinto Reggimento divenne così il nucleo dell’esercito regolare, la
prima Compañías de Acero venne composta per intero da operai
metallurgici.
L’eco del conflitto scosse gli operai italiani,
rapporti allarmati alle autorità fasciste ne diedero conto a Milano,
Genova e Taranto. Per molti giovani intellettuali, in parte provenienti
dal GUF, la Spagna fu uno spartiacque: rotti gli indugi passarono alla
lotta antifascista. Un primo afflusso di volontari si registrò nel corso
dell’estate ‘36, il meccanico bolognese Nino Nannetti fu probabilmente
il primo italiano che giunse dall’estero. Partecipò all’attacco a Huesca
bombardando la città con un cannoncino da 76 montato su un camion,
insieme ad un altro compagno si spostavano rapidamente per dare
l’impressione ai fascisti che all’opera fosse un’intera batteria. Morirà
sul fronte di Bilbao un anno dopo: aveva trentuno anni. Dalla fine del
settembre ‘36 il Comintern prese ad occuparsi quasi esclusivamente della
costituzione delle Brigate Internazionali. Parigi divenne quindi la
centrale mondiale per lo smistamento dei volontari: da un piccolo
albergo sulla rive gauche, Josip Broz, il futuro Maresciallo Tito,
avviava le reclute attraverso la cosiddetta «ferrovia segreta».
Ma
chi erano dunque i combattenti delle Brigate? Non erano mercenari e
neppure avventurieri, erano «portatori di un sogno di libertà» scrisse
Giuliano Pajetta. Combattevano per una causa di progresso ed
emancipazione sociale, internazionale. Ad Albacete – ricorda Giovanni
Pesce – approdavano professionisti, operai, contadini, minatori; anziani
e giovani; militanti comunisti, anarchici, socialisti, repubblicani;
uomini che avevano abbandonato casa e posto di lavoro, miseri braccianti
del mezzogiorno d’Italia, della Croazia, delle pianure d’Ungheria,
minatori tedeschi. Più simile agli odierni foreign fighters era invece
il drappello di volontari, irlandesi e romeni, che, animato da un senso
di crociata e di rivolta contro il mondo moderno, andò in Spagna a
combattere a fianco delle forze di Franco, Mussolini, Hitler e Salazar.
Se,
quindi, la guerra di Spagna fu il nocciolo duro di uno scontro di
portata internazionale, culminato nella seconda guerra mondiale, vale la
pena in conclusione rammentare chi – tra gli altri – quello scontro lo
combatté in tre diversi continenti: Ilio Barontini. La qualifica di
«cavaliere della libertà dei popoli» se l’era guadagnata sul campo di
battaglia. Dopo aver appreso le tecniche di guerriglia dalle forze di
Mao in Cina ed essersi distinto in Spagna, al comando del battaglione
Garibaldi a Guadalajara, il suo impegno era continuato prima in Etiopia,
ove aveva organizzato, insieme a Bruno Rolla e Anton Ukmar, la
resistenza popolare contro l’occupante italiano. E poi in Francia nei
Francs-tireurs partisans e in Italia alla direzione del Comando militare
unificato Emilia-Romagna. Un internazionalismo il suo, che non fu
dunque mera aspirazione ideale ma parte costitutiva del più importante
progetto di emancipazione dei subalterni nella storia.