Repubblica 15.7.16
La Ue condanna l’italia per la disciplina delle spiagge
E alla fine il bagnino dovrà andare all’asta
di Fabio Bogo
CON
un tempismo a scoppio ritardato buona parte della politica si è
scagliata contro la sentenza della Corte di Giustizia Ue che ha
condannato l’Italia per la proroga automatica e generalizzata delle
concessioni balneari. Il verdetto in realtà era scontato, dal momento
che già a febbraio scorso l’avvocato generale della Corte aveva
duramente criticato — nel procedimento in corso in Lussemburgo — una
prassi italiana le cui conseguenze aveva chiaramente inquadrato:
«Sottrae al mercato per un tempo irragionevolmente lungo beni molto
importanti sul piano economico ».
Le lobby che dal 2006 ostacolano il
libero mercato delle cabine e degli ombrelloni piantati sul suolo
demaniale non gli avevano dato troppo peso, ora scoprono di essere state
distratte e attaccano a tutto campo. «L’Europa non sia un freno alla
peculiarità dei paesi», sostiene dalla Liguria Giovanni Toti. «Il
settore finirà in ginocchio per colpa della Ue», rincara la dose la Lega
a difesa del coste venete. «Dai burocrati di Bruxelles una mannaia sul
settore», sentenzia Giorgia Meloni, forse paladina dei litorali laziali.
Siamo in estate, il bagnino merita più attenzione che in inverno, e i
toni quindi risentono di tutta la drammaticità che l’escursione termica
impone. Peccato che tutta questa solerzia e questa voglia di intervento
non si sia tradotta in qualcosa di concreto negli ultimi 12 anni. Anzi,
la direttiva dell’allora commissario Ue alla concorrenza Bolkestein, che
nel 2006 imponeva di mettere a gara le concessioni del demanio
marittimo, è stata ratificata senza colpo ferire dal Parlamento, nel
quale già sedevano molti dei critici attuali. L’Italia ha scelto in
sostanza la via della furbizia, accettando le regole di Bruxelles per
poi semplicemente ignorarle, e finendo così nel 2008 in procedura di
infrazione, continuando poi pervicacemente negli anni successivi a non
attuare alcun tipo di riforma del sistema di gare. Parole e illusioni.
Come nel 2012, quando arriva l’impegno ad accettare il sistema di aste e
la promessa di una legge di riforma. La quale, però, tanto per
cambiare, non è mai stata varata, sostituita invece da un continuo
ricorso al regime delle proroghe; giustificate, quest’ultime, dalla
necessità di tutelare anche coloro che su quei territori demaniali
ottenuti senza alcuna gara avevano effettuato investimenti e costruito
strutture tipo ristoranti o bar. L’ultimo traguardo che l’Italia si è
auto-attribuita con il regime transitorio, quello del 2020, è stato
rapidamente accerchiato dalle lobby che in Parlamento avevano già
stretto d’assedio la legge di stabilità provando ad ottenere un
allungamento delle concessioni di altri 30 anni. In pratica un diritto a
vita di gestire il suolo pubblico che adesso la sentenza della Corte fa
finalmente decadere.
Ora la palla passa al governo, che si trova a
gestire in emergenza una situazione complicata. Da un lato infatti è
necessario rispettare le regole. E la questione della credibilità è
tanto più cogente se si considera che su un altro fronte Roma sta
chiedendo una flessibilità importante, quella necessaria per mettere in
sicurezza il sistema bancario appesantito dalle sofferenze. Una
trattativa fatta di aiuti, impegni e promesse che non debbono essere
inficiate dalla clemenza richiesta anche per il bagnino.
Dall’altro
va garantito il futuro del settore e l’occupazione che comunque negli
anni ha generato. Come molti ieri hanno ricordato, il comparto è fatto
di piccole imprese e molti lavoratori, prevalentemente stagionali, che
forniscono comunque un servizio importante. Ma anche qui è necessario
non perdere di credibilità. Perché se è vero che il turismo nel suo
complesso è una struttura portante dell’economia italiana e che cabine e
ombrelloni danno lavoro a 30mila persone, non è possibile dimenticare
che il settore balneare ha troppi casi di privilegio ingiustificato e
che è necessario riportare trasparenza e imparzialità nelle assegnazioni
di pezzi di litorale che appartengono a tutti i cittadini. I quali
pagano le tasse e magari — dopo aver saldato il conto spesso salato per i
servizi ottenuti — restano quantomeno perplessi nel sapere che un
settore definito strategico e vitale per l’economia italiana nel 2014 ha
contribuito alle casse dello stato con le concessioni versate per poco
più di 100 milioni di euro.