sabato 16 luglio 2016

Repubblica 15.7.16
La Ue condanna l’italia per la disciplina delle spiagge
E alla fine il bagnino dovrà andare all’asta
di Fabio Bogo


CON un tempismo a scoppio ritardato buona parte della politica si è scagliata contro la sentenza della Corte di Giustizia Ue che ha condannato l’Italia per la proroga automatica e generalizzata delle concessioni balneari. Il verdetto in realtà era scontato, dal momento che già a febbraio scorso l’avvocato generale della Corte aveva duramente criticato — nel procedimento in corso in Lussemburgo — una prassi italiana le cui conseguenze aveva chiaramente inquadrato: «Sottrae al mercato per un tempo irragionevolmente lungo beni molto importanti sul piano economico ».
Le lobby che dal 2006 ostacolano il libero mercato delle cabine e degli ombrelloni piantati sul suolo demaniale non gli avevano dato troppo peso, ora scoprono di essere state distratte e attaccano a tutto campo. «L’Europa non sia un freno alla peculiarità dei paesi», sostiene dalla Liguria Giovanni Toti. «Il settore finirà in ginocchio per colpa della Ue», rincara la dose la Lega a difesa del coste venete. «Dai burocrati di Bruxelles una mannaia sul settore», sentenzia Giorgia Meloni, forse paladina dei litorali laziali. Siamo in estate, il bagnino merita più attenzione che in inverno, e i toni quindi risentono di tutta la drammaticità che l’escursione termica impone. Peccato che tutta questa solerzia e questa voglia di intervento non si sia tradotta in qualcosa di concreto negli ultimi 12 anni. Anzi, la direttiva dell’allora commissario Ue alla concorrenza Bolkestein, che nel 2006 imponeva di mettere a gara le concessioni del demanio marittimo, è stata ratificata senza colpo ferire dal Parlamento, nel quale già sedevano molti dei critici attuali. L’Italia ha scelto in sostanza la via della furbizia, accettando le regole di Bruxelles per poi semplicemente ignorarle, e finendo così nel 2008 in procedura di infrazione, continuando poi pervicacemente negli anni successivi a non attuare alcun tipo di riforma del sistema di gare. Parole e illusioni. Come nel 2012, quando arriva l’impegno ad accettare il sistema di aste e la promessa di una legge di riforma. La quale, però, tanto per cambiare, non è mai stata varata, sostituita invece da un continuo ricorso al regime delle proroghe; giustificate, quest’ultime, dalla necessità di tutelare anche coloro che su quei territori demaniali ottenuti senza alcuna gara avevano effettuato investimenti e costruito strutture tipo ristoranti o bar. L’ultimo traguardo che l’Italia si è auto-attribuita con il regime transitorio, quello del 2020, è stato rapidamente accerchiato dalle lobby che in Parlamento avevano già stretto d’assedio la legge di stabilità provando ad ottenere un allungamento delle concessioni di altri 30 anni. In pratica un diritto a vita di gestire il suolo pubblico che adesso la sentenza della Corte fa finalmente decadere.
Ora la palla passa al governo, che si trova a gestire in emergenza una situazione complicata. Da un lato infatti è necessario rispettare le regole. E la questione della credibilità è tanto più cogente se si considera che su un altro fronte Roma sta chiedendo una flessibilità importante, quella necessaria per mettere in sicurezza il sistema bancario appesantito dalle sofferenze. Una trattativa fatta di aiuti, impegni e promesse che non debbono essere inficiate dalla clemenza richiesta anche per il bagnino.
Dall’altro va garantito il futuro del settore e l’occupazione che comunque negli anni ha generato. Come molti ieri hanno ricordato, il comparto è fatto di piccole imprese e molti lavoratori, prevalentemente stagionali, che forniscono comunque un servizio importante. Ma anche qui è necessario non perdere di credibilità. Perché se è vero che il turismo nel suo complesso è una struttura portante dell’economia italiana e che cabine e ombrelloni danno lavoro a 30mila persone, non è possibile dimenticare che il settore balneare ha troppi casi di privilegio ingiustificato e che è necessario riportare trasparenza e imparzialità nelle assegnazioni di pezzi di litorale che appartengono a tutti i cittadini. I quali pagano le tasse e magari — dopo aver saldato il conto spesso salato per i servizi ottenuti — restano quantomeno perplessi nel sapere che un settore definito strategico e vitale per l’economia italiana nel 2014 ha contribuito alle casse dello stato con le concessioni versate per poco più di 100 milioni di euro.