sabato 16 luglio 2016

Corriere 15.7.16
Sì al cambio di sesso a 16 anni «Per me sarà come rinascere»
di Elena Tebano


Roma Per andare in Tribunale a Roma Irene ha scelto con cura come vestirsi. Un abito a pois blu, le scarpe basse, i capelli lunghi sciolti sulle spalle, un filo di eyeliner e l’orlo della gonna a coprire il grande tatuaggio di cui di solito va molto orgogliosa, nonostante i genitori (pacatamente) lo disapprovino: «Non voglio fare una cattiva impressione».
Era il 25 maggio e quello che il giudice avrebbe pensato di lei era decisivo: l’aspettava una delle prove più importanti dei suoi giovani 16 anni. Irene (il nome è di fantasia) all’anagrafe infatti era un maschio, anche se a vederla nessuno lo avrebbe detto. A febbraio si è rivolta al tribunale per chiedere la modifica dei documenti e il via libera all’operazione che permetterà al suo corpo di corrispondere alla sua identità. Pochi giorni fa la sentenza che la autorizza «a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili» e «ordina» al contempo «la rettifica degli atti di stato civile in riferimento al sesso (da maschile a femminile) e al nome». È la prima volta che succede contestualmente per una 16enne in Italia. Prima c’era stato un solo sì all’intervento per un under 18.
Irene aspetta l’operazione come una nuova nascita e insieme la conclusione di un percorso iniziato quando a 13 anni in una lettera ha rivelato ai genitori Massimo e Rita (che l’anno scorso avevano raccontato la loro storia sul Corriere ) di sentirsi da sempre una femmina. Fa parte di una nuova generazione di giovani transgender e transessuali che non ha avuto bisogno di aspettare l’età adulta per capire la propria condizione e, grazie al sostegno della famiglia, ha potuto avere una qualità di vita e un benessere psicologico un tempo impensabili.
Da tre anni è in psicoterapia in un centro specializzato, da due prende i bloccanti che impediscono al testosterone di farle sviluppare tratti maschili, da uno gli estrogeni che le hanno dato un aspetto femminile. «Ma la consapevolezza di essere così ce l’ho avuta da sempre: almeno da quando avevo cinque anni — racconta —. Ogni volta che qualcuno mi diceva di esprimere un desiderio, chiedevo di essere femmina. Ma non credevo che fosse possibile». Non è che da bambina non si riconoscesse nel suo corpo di maschietto: «Era vedere come mi trattavano le persone — spiega —: mi davano del maschile e io non capivo perché. All’asilo non capivo perché mi consideravano un bambino. In prima elementare non capivo perché le compagne non mi lasciavano andare al bagno delle femmine con loro. Ogni volta mi sembrava un’offesa».
È una fatica immane, soprattutto a quell’età: «È come se avessi avuto la mente continuamente assorbita da quello — aggiunge Irene —. Dovevo sempre concentrarmi per rispondere se la gente mi chiamava al maschile. Ogni volta che parlavo dovevo ricordarmi di usare il pronome “giusto”, che non era mai quello che avrei voluto». Come per molti e molte è stato Internet a permetterle di dare per la prima volta un nome a quello che stava vivendo: transessualità. «Avevo 9 anni e non cercavo certo informazioni sull’argomento. Ma non so come, per sbaglio — dice proprio così, “per sbaglio” —, ho letto un articolo sul cambiamento di sesso. E ho pensato: è questo, ma io non posso farlo, sono piccola. E ancora: devo aspettare di avere 18 anni, per allora potrei già essere morta». Così Irene ha iniziato a leggere tutto quello che trovava sul tema. Senza poterne o saperne parlare con nessuno, in una solitudine infinita: «Ero convinta che la mia famiglia fosse molto chiusa, non ne avevamo mai parlato. Pensavo non mi avrebbero accettata».
La più grande fortuna di Irene è stata che i suoi genitori, Massimo e Rita, l’hanno smentita: «Quando gli ho scritto la lettera erano molto spaesati. Ora lo capisco: chi non ha mai sentito parlare di transessualità neppure sa che esista. Per loro era sinonimo di prostituzione. Lo era anche per me — dice con lo sguardo di un’adulta negli occhi neri e vivissimi —. Invece dopo la paura iniziale hanno subito cercato aiuto e informazioni in un centro per l’identità di genere. Senza di loro, finché non ci sono stati loro ero persa».
Il cammino di Irene per diventare se stessa è iniziato così. Non è stato facile: «Di fatto non ho potuto vivere a pieno l’adolescenza, perché uscivo con due amiche, non eravamo un gruppo di amiche. Eravamo un gruppo di amici». Poi a 13 anni ha iniziato a vestirsi da ragazza: «All’inizio avevo un atteggiamento molto marcato, esageravo coi trucchi e i vestiti: succede a tutte le persone trans. Ora ha capito che se ti metti i pantaloni non sei meno donna». La svolta è arrivata con la terapia ormonale, che le ha modificato il fisico: «Nel momento in cui la gente ha iniziato a chiamarmi al femminile è sparita anche l’ansia che avevo sempre». Ora è più serena: «Se potessi sceglierlo non nascerei così, perché è un impedimento mentale e psicologico. Ma so che una volta che viene risolto sei molto felice. Forse anche più di chi non l’ha mai vissuto, perché finalmente sei realizzata». Adesso aspetta solo l’intervento: «Mi sono già messa in lista d’attesa ovunque. Spero di operarmi entro un anno. Poi voglio solo pensare a fare l’università».