il manifesto 16.7.16
Scuola, la disugaglianza che spacca il paese fra periferia e centro
di Andrea Ranieri
Il
 processo di costruzione di Sinistra italiana, che avrà un suo momento 
importante nell’Assemblea nazionale del 16 luglio, non può non avere al 
proprio al proprio interno, come uno degli assi centrali su cui 
costruire la propria proposta politica, il grande tema del sapere 
negato. Perché esso è alla base sia delle difficoltà del paese di 
imboccare la strada di uno sviluppo socialmente ed ambientalmente 
sostenibile, sia di disuguaglianze intollerabili. Il sapere e la cultura
 sono ancora oggi negati ai più poveri. Occorre leggere anche da questo 
punto di vista la questione delle periferie. I differenziali fra le 
speranze di vita, documentate da una bella ricerca della Università di 
Torino, che dividono chi vive in centro da chi vive in periferia, 
corrispondono pressoché esattamente ai differenziali nelle speranze di 
vita fra chi ha la laurea e chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. 
Il basso livello di istruzione della popolazione italiana, rispetto alla
 popolazione europea e non solo, è il più grosso freno alla costruzione 
di città intelligenti, che sono quelle capaci di organizzare la 
mobilità, i servizi, la gestione dei rifiuti evitando sprechi di 
risorse, di suolo, di ambiente, e l’origine di disuguaglianza 
intollerabili nelle possibilità e capacità di accesso alle prestazioni 
dello Stato sociale, a partire dalle prestazioni sanitarie.
Contrastare
 la dispersione scolastica, costruendo davvero la scuola di tutti e di 
ciascuno, sostenere le scuole di periferia che si impegnano con passione
 e intelligenza nel compito di contrastare le disuguaglianze di censo, 
come quelle derivanti dalle diversità linguistiche e culturali dei 
bambini e dei ragazzi che le frequentano; costruire e sostenere le forme
 di accesso al sapere degli adulti , con un sistema di formazione 
permanente che faccia capo alle scuole, alla rete delle biblioteche 
comunali, che decentri nella periferie attività culturali significative,
 è uno degli obiettivi fondamentali che abbiamo davanti, per 
accompagnare il contrasto alla buona scuola di Renzi con il sostegno 
effettivo alla buona scuola che c’è.
Ma è negato anche il sapere di 
quanti con impegno e fatica si sono laureati e dottorati e non trovano 
un modo per mettere all’opera il proprio sapere, che sono disoccupati o 
che lavorano poco e male. Perché la produzione di merci e servizi di 
questo paese non sembra in grado di utilizzare sapere, schiacciata su 
un’idea di competitività di cui l’asse fondamentale sembra ancora essere
 quello di ridurre il costo del lavoro e dei diritti; perché lavori ne 
offre sempre meno anche la pubblica amministrazione, pur essendo nel 
nostro paese il numero di dipendenti pubblici parametrato alla 
popolazione fra i più bassi dell’Occidente, e anche la strada della 
ricerca sembra preclusa dai tagli di cui non si vede la fine al sistema 
Universitario e a quello della ricerca pubblica. Per non parlare dei 
giovani che hanno affidato il loro futuro alla loro passione per l’arte,
 per la musica, per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale e 
ambientale, a cui l’accesso al lavoro e’ precluso dal disinteresse di 
chi ci governa per la manutenzione e la crescita dei più belli fra i 
beni comuni.
Ma forse sta per risolversi il paradosso italiano che è 
quello di avere il minor numero di laureati rispetto alla maggioranza 
degli altri Paesi e insieme la più alta percentuale di laureati 
disoccupati. Risolto nel modo peggiore, la diminuzione dei laureati, che
 è quello che schiaccerebbe l’Italia nella fascia più bassa fra i Paesi 
che si confrontano a livello globale. Il governo ha accompagnato, anzi 
ha favorito, il declino dell’Università di massa. L’assenza di una vera 
legge per il diritto allo studio, il rialzo costante delle tasse 
universitarie, la mancanza di sbocchi lavorativi dignitosi, ha provocato
 una diminuzione dei giovani che all’università si iscrivono, 
specialmente fra i figli delle famiglie povere. Credo sia un’obiettivo 
prioritario per una sinistra che voglia ridisegnare un’idea di sviluppo 
per il nostro Paese, capace di far crescere la quantita, la qualità e la
 dignità del lavoro, impegnarsi a tutti i livelli, da quello 
Parlamentare alla mobilitazione che è possibile costruire nel Paese, per
 sostenere la legge di iniziativa popolare per il diritto allo studio 
promossa dai giovani studenti e ricercatori della Rete della conoscenza,
 avendo come orizzonte strategico la gratutità dell’istruzione a tutti i
 livelli, dalla scuola dell’infanzia all’università.
E insieme 
occorre contrastare la logica perversa di un sistema di valutazione 
dell’università e della ricerca che ha avuto come esito quello di 
spostare risorse dalle università del Sud a quelle del Nord, dalla 
ricerca disinteressata a quella destinata ad attrarre finanziamenti 
privati. Il clima di competitività che si è creato dentro le università e
 fra le università per accaparrarsi i soldi necessari a sopravvivere, 
data la costante diminuzione delle risorse, finanziarie ed umane, che ne
 assicurano il funzionamento ordinario, sta distruggendo il senso 
fondamentale dell’istituzione, che è quello di produrre e trasmettere 
sapere. Con una straordinaria inversione fra i mezzi fini. Non si 
cercano più soldi per realizzare idee, ma hanno audience solo le idee 
che attirano soldi. La politica sembra aver affidato il compito di 
gestire la redistribuzione diseguale delle risorse all’Anvur, l’agenzia 
per la valutazione, che ormai ha assunto lo stesso ruolo che hanno i 
dettami dell’economia liberista nello scenario economico più generale, 
quello cioè di ammantare di ragioni oggettive la crescita delle 
disuguaglianze. Non stupisce che fra i più fieri sostenitori di questo 
sistema di valutazione ci siano quegli stessi che dalle pagine dei 
giornali e come consiglieri del Principe continuano a tessere le lodi 
del liberismo, anche dentro la sua crisi conclamata. Allora l’altro 
grande obiettivo di fase che potremmo darci è proprio l’abolizione 
dell’Anvur e di questo sistema di valutazione. La comunità scientifica, 
gli studenti, i cittadini, il parlamento decideranno se e cosa mettere 
al suo posto. Ma è preliminare liberare il campo da un’istituzione che 
ha un ruolo così rilevante nel negare il sapere come attività libera e 
disinteressata, e nel produrre intollerabili disuguaglianze.
 
