Repubblica 15.7.16
Ddl prescrizione Un altro rinvio
di Liana Milella
SONO
 tanti due anni per esaudire una promessa. Renzi e Orlando, il premier e
 il ministro della Giustizia, garantirono la riforma della prescrizione 
il 30 giugno del 2014. Sono passati 745 giorni e la notizia che arriva 
non è la certezza di un prossimo e definitivo passaggio parlamentare, ma
 quella dell’ennesimo rinvio. A settembre pare, solo per il voto del 
Senato, poi toccherà ancora alla Camera.
Hanno speso la loro 
autorevolezza due presidenti, quello della Repubblica Mattarella e 
quello del Senato Grasso. Hanno strappato una data nel calendario di 
palazzo Madama, il 26 luglio. Già troppo in là, visto che il disegno di 
legge sul processo penale, che contiene al suo interno la prescrizione, 
“pesa” oltre 40 articoli e già in commissione Giustizia ha prodotto 800 
emendamenti. Tra quegli articoli c’è anche la riforma delle 
intercettazioni — una delega molto contestata per la sua singolare 
sinteticità — che certo non può essere discussa e licenziata in pochi 
minuti. Come racconta un’informata “radio Senato” la data del 26 sarà 
rispettata, il ddl “incardinato”, ma poi l’onda dei decreti legge in 
scadenza — Ilva, processo telematico, misure di finanza territoriale — 
prenderà di necessità il sopravvento, visto che il Senato chiude i 
battenti il 5 agosto e i decreti scadono prima che riapra.
Non c’è
 magistrato autorevole in Italia che non abbia chiesto decine di volte 
la riforma della prescrizione, ridotta da Berlusconi nel dicembre 2005 
con la legge ex Cirielli a una norma “ammazza processi”, soprattutto 
quelli di corruzione. Ogni volta, a inizio d’anno, è il leit motiv delle
 cerimonie che aprono l’anno giudiziario. Il Pd ne ha fatto per anni un 
cavallo di battaglia. E adesso che succede? Presto detto. Il Nuovo 
Centrodestra di Angelino Alfano, che per la cronaca conta numerosi 
inquisiti, ne fa una questione di principio. Il ministro della Famiglia 
Enrico Costa è “l’avvocato difensore” della prescrizione breve di 
berlusconiana memoria. Il braccio di ferro va avanti da un anno. Il 
Guardasigilli Orlando media, ma lo subisce. La riforma, nella versione 
votata alla Camera tra le urla dei centristi, come ha detto e scritto 
l’Anm prima di Sabelli e poi di Davigo, è proprio un pannicello caldo. 
Prescrizione solo sospesa, e non definitivamente bloccata, dopo il primo
 grado. Due anni di bonus per l’appello e uno per la Cassazione in cui 
l’orologio resta fermo. Un ulteriore bonus per i reati di corruzione, 
prescrizione misurata sul massimo della pena più la metà (anziché solo 
un quarto). Ma Ncd fa fuoco e fiamme e blocca il provvedimento in 
commissione. Parte una trattativa estenuante, piena di trucchetti. Gli 
anni di bonus s’invertono, solo un anno in Appello (troppo poco) e due 
in Cassazione (inutili). Orlando spunta 18 mesi per parte. Netto stop al
 trattamento speciale per la corruzione, su cui Costa è durissimo («non 
passerà mai»). Poi l’ultima invenzione, il bonus in Appello e in 
Cassazione “muore” se il processo sfora i tempi.
Qui pure il 
dialogante Orlando s’infuria. Lo sentono dire: «Ncd sarà pure 
determinante al Senato, ma io non perdo la faccia. Questa norma non 
passerà mai». Ncd sembra quasi cedere, ma il rischio del voto segreto al
 Senato intimorisce il governo. La fiducia, pur vagheggiata, pare 
impraticabile. Un accordo al ribasso su una materia come la prescrizione
 mette in allarme la sinistra del Pd. Il relatore Felice Casson è già 
pronto a dire: «Se passa il testo di Ncd io non ci sto più... preferisco
 lasciare ».
Se ne parlerà a settembre. Nonostante l’impegno di 
Mattarella che pure aveva chiesto espressamente un voto al Senato prima 
dell’estate. I processi di corruzione continueranno inutilmente a 
morire. Sulla riformicchia continueranno a litigare Pd ed Ncd. Alfano e 
Costa, memori di quando stavano con Berlusconi, continueranno a chiedere
 il processo lungo e la prescrizione breve.
 
