Repubblica 15.7.16
4.6 milioni di italiani in povertà assoluta
Perché cresce il paese dei poveri
di Chiara Saraceno
IN
 controtendenza con i dati positivi sull’occupazione, la povertà 
assoluta nel 2015 non solo non è diminuita, ma è aumentata, coinvolgendo
 quasi 400 mila persone in più rispetto al 2014 e raggiungendo 4 milioni
 e 598 mila persone, pari al 7,6 per cento della popolazione. Si tratta,
 secondo i dati Istat pubblicati ieri, del dato più alto dal 2005. 
L’incidenza della povertà continua ad essere maggiore nel Mezzogiorno. 
Ma l’aumento è avvenuto pressoché tutto nelle regioni del Nord, dove 
riguarda in prevalenza famiglie di persone straniere e regolarmente 
residenti nel nostro paese. Tra queste, infatti, si trova in povertà 
assoluta quasi un terzo, il 32,1, una percentuale di 8 punti maggiore 
rispetto all’anno prima e più alta di quella, pur considerevole (28,3 
per cento), rilevabile per queste famiglie a livello nazionale. Se si 
riducono un po’ i divari Nord-Sud, ciò sembra avvenire in larga misura a
 causa dell’aumento del divario, soprattutto al Nord, tra famiglie di 
italiani e famiglie di stranieri. Se a livello nazionale le famiglie di 
tutti stranieri si trovano in povertà oltre sei volte di più di quelle 
di tutti italiani, nel Nord la differenza è di oltre tredici volte. Gli 
effetti lunghi della crisi sembrano aver colpito molto di più gli 
stranieri, che faticano a trovare o ritrovare un lavoro che sia anche 
decente. Potremmo pensare che questi dati non rispecchiano il 
miglioramento avvenuto sul piano dell’occupazione a seguito del 
dispiegarsi degli effetti del jobs act, stante che questo è avvenuto 
soprattutto nell’ultimo trimestre del 2015. Può essere, ma solo in 
parte. Siamo, infatti, ancora ben lontani dall’aver recuperato tutti i 
posti di lavoro perduti. Inoltre va considerato con grande 
preoccupazione che l’aumento della povertà assoluta (dal 5,2 al 6,1 per 
cento) ha riguardato anche famiglie con persona di riferimento occupata,
 soprattutto se operaio o assimilato. Tra le famiglie di questi ultimi 
l’incidenza della povertà assoluta è passata in un anno dal 9,7 all’11 
per cento. Molti di questi lavoratori hanno avuto un reddito troppo 
basso per poter fruire degli 80 euro, perché incapienti, o li hanno 
dovuti restituire perché “indebitamente” percepiti, in base alla logica 
paradossale degli 80 euro che esclude i più poveri.
Il fenomeno 
dei lavoratori e delle famiglie di lavoratori povere ha conosciuto un 
fortissimo aumento negli anni della crisi, a motivo sia della riduzione 
del numero di occupati in famiglia, soprattutto a causa della 
disoccupazione giovanile, sia della crescita del part-time involontario.
 Quest’ultimo è sempre meno una caratteristica solo dei contratti di 
lavoro a tempo determinato e in generale dei contratti atipici quando 
non irregolari. Come documenta il Rapporto Inps presentato la scorsa 
settimana, quattro contratti a tutele crescenti su dieci sono a tempo 
parziale. Avere un lavoro non sempre è sufficiente a proteggere dalla 
povertà, se è a tempo ridotto, o troppo poco pagato, o se il reddito che
 fornisce deve bastare per diverse persone. Da questo punto di vista, un
 altro dato preoccupante riguarda l’aumento della povertà assoluta tra 
le famiglie con due figli, specie se minori. Finora era il terzo figlio a
 far scattare un rischio di povertà sopra la media. Ora basta il 
secondo. Non stupisce, allora, che i minori siano sovrarappresentati tra
 chi si trova in povertà assoluta, con un peggioramento sensibile 
nell’arco di dieci anni. Era in povertà assoluta il 3,9 per cento di 
tutti i minori nel 2005, il 10,9 per cento nel 2015. In termini numerici
 sono più del doppio degli anziani: 1 milione e 131 mila rispetto a 538 
mila. Ma anche i loro fratelli più grandi non stanno meglio, con quasi 
il 10 per cento, pari a un milione e 13 mila individui, in povertà 
assoluta. A ben vedere, poco meno della metà dei poveri assoluti 
appartiene alle giovani e giovanissime generazioni, che non hanno ancora
 l’età per entrare nel mercato del lavoro o che ne vengono escluse, come
 mostrano i dati del citato Rapporto Inps sull’invecchiamento della 
forza lavoro occupata negli anni della crisi, a seguito del combinarsi 
di riduzione della domanda di lavoro e innalzamento dell’età alla 
pensione. Investire sull’aumento dell’occupazione, come ha dichiarato il
 ministro Padoan, è certo necessario per combattere la povertà. Ma il 
fenomeno dei lavoratori poveri e delle loro famiglie, della 
sovrarappresentazione dei minori e dei giovani tra i poveri, insieme 
alla drammaticità dell’incidenza della povertà tra gli immigrati, 
segnalano che non è sufficiente se non si tiene conto di quale lavoro si
 tratta e di chi può accedervi. Impongono anche di rivedere criticamente
 alcune scelte redistributive, dagli 80 euro al bonus bebè.
 
