martedì 12 luglio 2016

Repubblica 12.7.16
Manuela Carmena
“Meglio le sindache donne conoscono la vita quotidiana risolvono problemi concreti”
La prima cittadina di Madrid parla delle colleghe di Parigi, Roma e Barcellona: “Se la guida dei partiti spagnoli fosse stata femminile avremmo già un governo”
La sinistra da noi non è stata capace di arrivare ad un accordo e ha dato un’immagine di scarsa flessibilità e capacità negoziale
La Raggi? Le ho mandato gli auguri, ma credo di non aver ricevuto risposta. Però sono sicura che ci vedremo presto. I 5Stelle sono un soggetto nuovo
intervista di Rubén Amón, Alessandro Oppes e Mathieu De Taillac

MADRID «Quando terminerò il mandato, mi piacerebbe aver raggiunto due obiettivi. Che si dia valore all’atteggiamento: il cambiamento, la prossimità, la pulizia etica. E che si apprezzi il miglioramento della città. Madrid sarà più verde e più pulita. Più equilibrata e più giusta». Non ha più l’aria spaesata Manuela Carmena, quel velo di sottile angoscia solo in parte celato dall’entusiasmo, che le si leggeva in viso un anno fa, appena eletta sindaca di Madrid. La vecchia militante per i diritti umani, la magistrata in pensione prestata alla politica alla guida di una lista, Ahora Madrid, appoggiata da Podemos, sa già che fra tre anni non si ripresenterà. Ma nel frattempo vuole dare un volto nuovo alla capitale spagnola.
Come valuta ora, mentre si negozia una ipotetica investitura alla premiership di Mariano Rajoy, il fatto che la sinistra non sia arrivata a un accordo per eleggere presidente Pedro Sánchez?
«La sinistra ha dato un’immagine di poca flessibilità, di scarsa capacità negoziale. La trattativa è sintomo d’intelligenza. E i cittadini si rendono conto quando i politici non sono capaci di negoziare».
In che misura l’arretramento di Podemos ha a che vedere con la gestione politica delle regioni e delle città dove ha governato?
«Io non sono di Podemos. Ho sempre agito in totale indipendenza. E il risultato che abbiamo ottenuto al Comune di Madrid non ha niente a che fare con il bilancio di Unidos Podemos. Questo è un municipio molto identificato con il mio nome. La valutazione della gestione è molto legata a Carmena. Non ho avuto niente a che vedere con la campagna elettorale delle legislative. Non ho alcun legame con Pablo Iglesias, anche se l’interesse che possono avere determinati gruppi politici è far credere il contrario ».
Lei raccomandò un’intesa tra Sánchez e Iglesias per l’investitura. Comprenderebbe ora che il Psoe si astenesse “a favore” del Pp?
«Non voglio fare valutazioni, come sindaca non mi compete. Sono una politica occasionale. Dico solo che i partiti attraversano un momento di crisi. Antepongono i loro interessi a quelli dei cittadini. E questo crea un solco che la cittadinanza poi rimprovera quando va alle urne».
Ritiene, allora, che il fattore ideologico pesi meno nei Comuni?
«L’ideologia si utilizza spesso solo per etichettare l’avversario. Cerca quello che separa, non ciò che unisce. Questo è terribile e indica che si tratta di differenze artificiali, soprattutto quando si affrontano i problemi concreti di una comunità. Ahora Madrid (la coalizione guidata da Carmena alle ultime municipali, ndr) non è un partito. Io gestisco persone e personalità diverse. Tratto con loro. In un anno, abbiamo dato l’esempio: l’83% delle decisioni sono state prese a maggioranza, il 63 all’unanimità. Per questo non ha senso dare di noi un’immagine settaria e radicale, come fa il Partito Popolare. L’ideologia è un aggettivo, è un discorso teatrale».
Crede che ci sia una sensibilità femminile nel modo di gestire la cosa pubblica nei comuni? Le sindache di Parigi, di Roma, Barcellona, lei a Madrid...
«Penso di sì. Insisto sempre sul fatto che quella della donna è una cultura più del quotidiano, della vita, delle cose pratiche. La politica contro il sottosviluppo indica il ruolo attivo della donna, per il suo ruolo nell’economia domestica. I programmi contro la povertà si appoggiano sulle donne. Se alla guida dei partiti ci fossero state donne dopo le legislative del 20 dicembre scorso, ora avremmo un governo».
Ha già avuto qualche contatto con la nuova sindaca di Roma, Virginia Raggi?
E vede più differenze o similitudini tra Ahora Madrid e il Movimento 5 Stelle?
«Non conosco molto bene il M5S. La cosa importante è che sono un’alternativa nuova, con una struttura diversa da quella di un partito tradizionale. A Virginia Raggi ho mandato gli auguri, ma credo di non aver ricevuto risposta. Però sono sicura che ci vedremo presto».
Lei sottolinea anche che ci sono donne in politica che adottano canoni di comportamento maschili.
«C’è la donna che si fa carico della propria cultura, ma ce ne sono altre che adottano canoni maschili, autoritari, perché si sentono più sicure. L’ho visto quando ero magistrata e succede anche in politica. È un dibattito molto interessante».
Lo è anche il dibattito sulle grandi città che tendono ad assumere compiti dello Stato. Dall’ambiente all’immigrazione.
«Nelle città assumiamo molte competenze che ci stiamo guadagnando di diritto. È successo con i rifugiati. Siamo arrivati a un accordo con l’Unhcr per approntare un piano di accoglienza. Possiamo montare strutture, servizi di emergenza. E’ più facile per noi che per l’apparato di un grande Stato. Abbiamo accolto persone che sono arrivate in maniera irregolare. Le abbiamo aiutate. Disponiamo di reti che lo Stato non ha. Dalle funzioni, dobbiamo passare alle competenze ».
Ritiene necessaria una cooperazione tra le grandi capitali europee, un’Europa delle capitali?
«C’è un collegamento tra le città perché esistono preoccupazioni comuni. Penso al bilancio partecipativo. L’abbiamo fatto a Madrid, però si potrebbe organizzare con altre città per progetti comuni. Lisbona, Parigi e Madrid formano un asse storico. Le città possono mettere fine all’apatia democratica. E come dice Ban Ki Moon, l’apatia è il veleno della democrazia. Dalle città europee possiamo contrastare la mancanza di mobilitazione. Bisogna costruire un quadro di rapporti tra di esse. Non è la città-stato. E’ il superamento di un ambito formale che scavalca le nazioni. Le comunicazioni hanno eliminato le frontiere. Le città si trasformano in insediamenti con maggiori possibilità di incrementare la responsabilizzazione dei cittadini».
Ma allo stesso tempo si è aperta una competizione tra le grandi città per disputarsi il “bottino” della Brexit.
«È una competizione leale. Madrid è molto ben posizionata. Per la nostra capacità di crescita, per il prezzo degli affitti, per il talento dei giovani, per la competitività dei salari. E inoltre Madrid è una città molto sicura, ha una rete di trasporti invidiabile e un clima straordinario. Dobbiamo far valere tutte queste qualità».
Madrid è riconosciuta per aver capitalizzato in Europa l’appuntamento con il Gay Pride e averlo trasformato in una festa di interesse generale.
«Madrid è una città aperta. E’ la città delle libertà. Ed è stata premeditata la decisione di proteggere istituzionalmente la festa del Pride, così come lo fu lo scorso anno il fatto di esporre in municipio la bandiera dell’arcobaleno. È un riconoscimento a diritti che prima venivano messi in discussione. E a contestarli era lo stesso Pp, con la sua politica di scontro, con i suoi ricorsi al Tribunale Costituzionale. La grande vittoria è che ora è il Pp a doversi avvicinare. Per questo bisogna essere generosi e integrarli ».
Dopo gli attentati di Parigi si è organizzato a Madrid il Foro por la Paz, cercando di inculcare insieme alla capitale francese una sorta di politica preventiva.
«Sì, perché siamo coscienti che nelle grandi città si producono anche elementi negativi ed esiste in esse il germe della violenza. Dalla violenza di genere a fenomeni equivalenti alle “maras” centramericane, fino ai gruppi di giovani delinquenti organizzati. Tutto passa attraverso un’educazione alla pace, cominciando dalle scuole, dove cerchiamo di far apprendere ai bambini il valore del dialogo e della mediazione, che sappiano risolvere i problemi tra loro».
Non ha l’impressione che i grandi attentati, come a Londra, Parigi, Madrid o Bruxelles, abbiano creato una psicosi terroristica?
«Per quanto si voglia psicotizzare le città con il terrorismo, i cittadini non rinunciano a vivere la loro città. Non ho visto questa psicosi a Parigi. Né la vedo a Madrid, nonostante la nostra esperienza di terrorismo. Le città non rinunciano all’idea di vivere. E sono meno suscettibili di quanto non appaia da fuori».
© Lena, Leading European Newspaper Alliance

L’intervista è stata realizzata da Alessandro Oppes per “La Repubblica“, da Rubén Amón per “El Pais” e Mathieu De Taillac per “Le Figaro” I tre quotidiani fanno parte di Lena, Leading European Newspaper Alliance, insieme a “Die Welt”, “Le Soir”, “Tages-Anzeiger” e “Tribune de Geneve”