Repubblica 12.7.16
Improbabile che le Camere decidano le modifiche
L’Italicum rischia lo stop all’incrocio il leader decida la direzione
Il
logoramento politico alla fine può produrre solo danni per la legge
Adesso spetta al governo trovare la strada per uscire dall’impasse
di Stefano Folli
IN
tema di riforme è il momento delle contraddizioni. In fondo è
inevitabile: la conversione di Palazzo Chigi dalle certezze di ieri al
realismo di oggi è abbastanza faticosa e soprattutto non può essere
lineare. Ad esempio, quando il premier dichiara di rimettersi al
Parlamento per le modifiche all’Italicum cade in un’inevitabile
contraddizione, forse più di una.
È difficile dimenticare infatti
che l’attuale legge elettorale è il prodotto di una complessa gestazione
parlamentare, a causa delle resistenze diffuse e dei malumori evidenti.
Al punto che il nodo gordiano fu tagliato con i voti di fiducia: scelta
tutt’altro che usuale quando si sceglie il modello con cui far votare i
cittadini. Sotto più di un aspetto, il governo dovrebbe difendere
l’Italicum proprio perché su di esso ha impegnato la fiducia. Renzi in
effetti lo difende, ma ormai in modo più formale che sostanziale.
Peraltro il realismo gli imporrebbe oggi di imboccare un’altra strada e
di correggere una riforma mai applicata, è vero, eppure invisa a un
numero esorbitante e trasversale di parlamentari di centrosinistra e di
centrodestra (effetto, come è noto, dell’ascesa dei Cinque Stelle).
Il
risultato è appunto contraddittorio. Il presidente del Consiglio
continua a ripetere l’intenzione di rimettersi alla volontà del
Parlamento, ma si tratta delle stesse assemblee che pochi mesi fa hanno
votato la fiducia. Non solo. È palese che Renzi non crede alla capacità
del Parlamento di trovare l’intesa sulla riforma dell’Italicum. E perché
dovrebbe riuscirci? In realtà spetta al governo indicare una direzione
di marcia, avanzare una proposta, costruire una maggioranza allargata
per cambiare in tutto o in parte la legge in vigore. È ovviamente poco
credibile che la Camera e il Senato possano centrare in autonomia un
simile risultato. Se accadesse, vorrebbe dire che è nata una maggioranza
diversa dall’attuale e in ogni caso che il governo in carica è stato
delegittimato.
La verità è che Renzi non ha nessuna fretta di
cambiare l’Italicum, anche perché non è sicuro di quale via prendere:
perciò preferisce restare alla finestra in attesa degli eventi. Se lo
riterrà conveniente, si riserva di tirare fuori una carta dalla sua
manica quando sarà il momento. Ma per adesso si limita a dire e non
dire. Il rischio è che questa tattica si riduca solo a una dimostrazione
di impotenza e non riesca a tamponare la crisi.
È chiaro infatti
che, in assenza di una forte iniziativa governativa, non ci sarà una
riforma dell’Italicum prima del referendum costituzionale di ottobre (o
novembre). Salvo nel caso piuttosto improbabile di un accordo diretto
fra il Pd e il centrodestra berlusconiano. Se invece la questione rimane
nei termini attuali, sullo sfondo di un generico logoramento dei
rapporti politici, si deve immaginare che prima avremo il referendum e
solo dopo, in relazione al risultato delle urne, si affronterà il tema
elettorale.
Eppure questo scenario non è certo il più favorevole
al presidente del Consiglio e alla sua immagine. Sono tanti nel
centrosinistra e in altri ambienti della maggioranza che collegano il
loro Sì alla nuova Costituzione a una modifica dell’Italicum. E quale
modifica? Il rischio è che venga commesso un altro errore. La correzione
di cui si parla in queste settimane è la più semplice: premio alla
coalizione anziché alla lista vincitrice. In teoria, sarebbero
incoraggiate le alleanze, con piena soddisfazione dei partiti minori e
della minoranza del Pd. A destra, Forza Italia diventerebbe di nuovo
faro d’attrazione per i centristi scontenti di Renzi.
Tuttavia
questa correzione minimalista potrebbe arrivare troppo tardi rispetto
all’evoluzione degli equilibri politici. Avrebbe il sapore di un
arroccamento della “casta” timorosa di essere sconfitta dai movimenti
anti-sistema. Viceversa per un salto in avanti più coraggioso (dal
collegio uninominale francese al ripristino del Mattarellum magari
aggiornato) ci sarebbe bisogno più che mai dell’energia di un Renzi
capace di abbandonare la linea attendista. E non ci sono segnali che
questo avverrà tanto presto.