Il Sole 12.7.16
Lo stress test del premier
È il risparmio lo stress test di Renzi, la prova che può piegare verso il sì o il no il referendum.
di Lina Palmerini
Un’altra
volta la scena è altrove. Il caso delle banche italiane è l’ennesima
dimostrazione che ormai i destini delle democrazie nazionali dipendono
da Bruxelles. Perché i partiti parlano di referendum, di spacchettamento
dei quesiti e dell’Italicum ma per la vera posta in gioco del consenso
non si combatte a Roma ma a Bruxelles. È vero che la riforma
costituzionale è lo spartiacque di Renzi, del Governo e della stessa
stabilità italiana ma quello che accadrà sul risparmio avrà un’influenza
diretta sugli orientamenti popolari alle urne. Perché le banche sono
oggi una prova di leadership. Che in sostanza è la capacità di mantenere
ciò che si promette.
«Voglio che i correntisti e i risparmiatori
siano messi in sicurezza» diceva ieri il premier dicendosi fiducioso in
un accordo europeo. Ed è esattamente questa la sfida che si porterà fino
al referendum. Perché la piega che prenderanno i “no” o i “sì”
dipenderà dal grado di credibilità che Renzi avrà conquistato nella
partita del credito, un nervo molto più scoperto dell’immigrazione. Il
risparmio è nel Dna degli italiani ed è anche il nostro “valore” che i
capi di Governo - di ieri e di oggi - hanno sempre rivendicato in tutte
le sedi internazionali: il fatto cioè di essere un Paese con un alto
debito pubblico ma con un elevato risparmio privato.
Le voci sulla
gestione del referendum, su quanti quesiti, chi raccoglie le firme,
quale data, sono tutti rumori di fondo per l’opinione pubblica. Il punto
è vedere in che condizioni si arriva alle urne, quello è dirimente.
Ieri Luigi Di Maio diceva di sentirsi sbalordito di come Renzi parlasse
di Italicum mentre ci sono 9 milioni di poveri. Poi ha elencato tutti i
problemi - ben noti - dalla tassazione elevata alle pensioni d’oro, alle
imprese che falliscono e disoccupazione giovanile. Una dichiarazione di
maniera, un po’ scontata, ma è il nocciolo della questione. Ed è più
realistico di ciò che dice il premier sul voto degli elettori dei 5
Stelle. «Per me - diceva ieri Renzi - un elettore del M5S che può
scegliere tra il Parlamento più costoso e uno più efficiente e che costa
meno, la mia opinione è che voterà per ridurre le poltrone. Un
parlamentare 5 Stelle che teme che gli portino via la poltrona
probabilmente voterà No».
In realtà forse non sarà così. È più
probabile invece che la base dei sì e dei no, o l’affluenza alle urne,
dipenderà da come Renzi porterà l’Italia al voto di ottobre o novembre.
Dipenderà da questo accordo europeo sulle banche e da tutte le altre
variabili economiche e finanziarie che condizioneranno la legge di
stabilità di ottobre. Questo avrà un peso.
Anche se si comincia a
sentire un forte odore di bruciato proveniente dai cosiddetti partiti
anti-sistema che tifano per il “no” a ogni costo. Quelli che hanno
cavalcato le opinioni pubbliche promettendo un azzeramento del sistema e
poi un miglioramento per i cittadini e che invece hanno fatto subito
marcia indietro. Da Tsipras a Nigel Farage a Boris Jhonson: tutti
vincitori per una notte. Il premier greco ha vinto un referendum contro
l’Europa e poi ha smentito le promesse facendo un accordo con Berlino e
Bruxelles. E i due leader inglesi si sono ritirati dalla scena politica
(Farage ha dato le dimissioni) nonostante la vittoria di Brexit che loro
avevano sostenuto. I 5 Stelle sono stati al loro fianco: Grillo era ad
Atene a festeggiare Tsipras, il Movimento è nello stesso gruppo
parlamentare di Farage a Strasburgo. Ma la credibilità dei 5 Stelle si
misurerà dopo, quella di Renzi è adesso.